Être valdôtains, essere valdostani
Nel 1950 il celebre abbé
Auguste Petigat (1885-1958) scrisse un articolo grazie al quale, sotto forma di aneddoto, rivelò un suo importante pensiero su cosa per lui volesse dire “essere valdostani”.(1)
Per farlo, Petigat scelse un ricordo. Si trattava di un fatto a cui aveva assistito nel 1905.
In quell’anno il canonico Pierre-Joseph Béthaz (1823-1906) di Valgrisenche, Superiore del Seminario di Aosta, congedandosi dal suo incarico raccomandava ai futuri sacerdoti di “restare valdostani”: Restez toujours Valdôtains!
Esortazione che negli anni, ogni tanto, riaffiorava tra i pensieri di Petigat, ma qu’on a bien oubliée, je crois, au Grand Séminaire, même par ceux qui, comme moi, l’ont entendue.
Être Valdôtain, rester Valdôtain?
“Ma come fare?”, si chiedeva Petigat che, contemporaneamente, si rispondeva che forse era necessario imitare coloro che ci hanno preceduto, persone che hanno combattuto e che si sono sacrificate per far valere i loro diritti e che hanno organizzato il territorio, fatto nascere tradizioni, dato vita a usi e costumi, forgiandosi in un vero e proprio popolo: Sentire fortemente quelle scelte passate, vouloir les continuer, rester dans la ligne, la tradition la race magnifique qui a fait toute une histoire, voilà, je crois, ce qui c’est de rester Valdôtains”, sosteneva Petigat.
Poi, la conclusione di quei pensieri: Nous sommes conditionnés, nous Valdôtains, non pas par l’éphémère, le nouveau, le récent, mais par tout un passé qui nous détermine et nous classe malgré nous. Ecouter cette voix, répondre à ces obscurs appels, suivre le chemin Valdôtain, comme l’ont été eux, Eux, les ancêtres, nos pères qui ont le droit de nous demander ce que nous avons fait de leur patrimoine. Rester Valdôtain selon le dernier cri du coeur de ce brave Supérieur du Grand Séminaire qui est le cri de vingt siècles et de tant de générations.
Il faut réfléchir, on nous en demandera compte.
Oggi, il sentimento di comunità non ha più a che fare con fattori prettamente etnici come un tempo, ma deve passare attraverso la comprensione e l’adozione da parte di tutti gli abitanti (autoctoni o meno) del respiro tipico di una terra particolare: la Valle d’Aosta. Lo spirito antico - che dovrebbe essere conosciuto e diffuso tra tutti - oltre a essere salvaguardato e promosso, dove necessario, andrebbe attualizzato all’oggi.
Anche in politica bisognerebbe cambiare alcune visioni. Una politica locale dove il discrimine sembra passare tra l’essere “Autonomisti”, oppure di “centrodestra” o di “centrosinistra”. In un contesto simile è difficile promuovere un sistema rappresentativo che possa dar vita ad un arco costituzionale “tutto valdostano”.
L’autonomia, infatti, è di tutti e non è un’ideologia, ma uno strumento; un mezzo, ma non un fine.
Essere “autonomisti” non significa non poter avere visioni e prospettive politiche di destra piuttosto che di sinistra. Così come, specularmente, avere una visione politica di sinistra piuttosto che di destra non significa non poter essere contemporaneamente profondamente autonomisti, che è un valore che non può essere “appaltato” in esclusiva ad alcuni movimenti politici.
E’ l’identità di una comunità che andrebbe difesa e valorizzata. Questo passa anche attraverso l’autonomia che la tutela.
Ma la valdostanità - è bene ripeterlo - non è (solo) l’autonomia.
(1) La Vallée d’Aoste, 8 luglio 1950.