L’orso valdostano “sopravvissuto”...
La storia ci racconta come gli orsi, così come i lupi e i cinghiali, fossero un tempo abbastanza comuni in Valle d’Aosta e gli antichi documenti lo attestano in modo inequivocabile.
In diverse regolamentazioni feudali, per esempio, si possono leggere le gravi sanzioni contro chiunque si fosse rifiutato di cacciare, o aiutare a farlo, uno di questi animali quando la loro presenza veniva segnalata nelle vicinanze dei villaggi.
Secondo alcune cronache, l’ultimo orso valdostano di cui si abbia notizia risalirebbe al 1834, quando fu ucciso a Saint-Denis mentre si stava cibando di poires-bons-chrétiens, di cui era molto ghiotto. L’animale aveva la sua tana abituale nella foresta di Pro-de-Tar a Torgnon.(1)
L’ultimo orso della Valle d’Aosta, però, fu abbattuto nel territorio di Saint-Rhémy-en-Bosses nel 1856.(2)
Dopo di allora non si è più sentito parlare di questi plantigradi.
Nel 1903, però accadde un fatto clamoroso dans les vieux sommets déserts qui dominent les solitudes boisées d’Effra, entre le vallon de Comba Dèche et celui de Brena
sopra Trois-Villes (Quart).
La notte del 21 gennaio alcuni ragazzini riconobbero a poca distanza da loro e molto distintamente un orso bruno (Ursus arctos arctos), leggermente zoppicante, intento a cercare cibo: un ours, de taille respectable, se promenant oisivemen! à travers buissons. Ce redoutable carnassier n’avait rien d’agressif: l’on dit même qu’il boîtait légèrement.(3)
La réapparition d’un de ces monstres dans nos contrées, au cour de l’hiver, si chiedeva un giornale locale, “non sarà forse un pronostico del freddo prolungato che i meteorologi ci annunciano?”, aggiungendo poi ironicamente: “si dice che la fame faccia uscire dalla foresta gli orsi e i lupi; ma questi animali, anche se temibili per la paura che fanno e per i danni che possono causare, sono meno pericolosi di alcuni bipedi che a volte fanno danni maggiori”.(4)
Comunque sia, restava ancora una domanda fondamentale: da dove preveniva quell’orso?
Un giornale valdostano sembrava avere le idee chiare: “se l’apparizione di un orso non è immaginaria, bisogna credere che sia un intruso che ha varcato il confine svizzero per godersi una escursione poco gradita nelle nostre terre”.(5)
Certamente, in quel periodo esistevano esemplari lungo quasi tutto il versante settentrionale delle Alpi, presso cui venivano segnalati i loro attacchi ai capi di bestiame.(6)
Un altro foglio locale, invece, prese la notizia con leggerezza: “Dalle informazioni che abbiamo, sembrerebbe trattarsi dell’anticipazione di un pesce d’aprile”. Poi, con tono ironico, si riferì al celebre abbé Amé Gorret (1836-1907), un religioso dotato di un carattere singolare, brusco e caustico che la Diocesi spostava di tanto in tanto da una parrocchia all’altra e che veniva anche chiamato l’Ours de la Montagne: l’autre, à St-Jacques des Allemands, est très bien portant, il ne nous résulte pas qu’il aie quitté sa tanière!, ossia, “l’altro, che si trova ad Ayas, sta bene e non sembra che abbia abbandonato la sua tana!”.(7)
Comunque fosse, di quell’orso bruno - ammesso che la segnalazione fosse vera - non si seppe più nulla. Forse, zoppicando, tornò nella “sua” Svizzera.
E così, come un fantasma in fuga, l’orso scomparve nelle nebbie del tempo, lasciando dietro di sé solo un ricordo sbiadito e misterioso
(Emily Bronte, Cime tempestose).
Immagine di copertina: orso imbalsamato esposto al castello di Saint-Pierre.
(1) Le Duché d’Aoste, 4 febbraio 1903. (2) M. Ansaldo, Al di là della Dora, p. 21. (3) M. Ansaldo, Al di là della Dora, p. 21. (4) Le Duché d’Aoste, 28 gennaio 1903. (5) Le Duché d’Aoste, 4 febbraio 1903. (6) La Tribune de Genève, 10 dicembre 1902; Le Confédéré, 1° novembre 1902. (7) Jacques Bonhomme, 30 gennaio 1903; l’articolo è firmato J. A. F. cioè Jean-Antoine Farinet.