La zona franca: un’idea del 1895
In Valle d’Aosta l’argomento zona franca può essere paragonato a quello del Santo Graal raccontato nella saga arturiana. Come il calice di cui in tanti andarono alla ricerca, ogni tanto la zona franca salta fuori e se ne parla; soprattutto durante le elezioni, quando in diversi cercano di smuovere le ragnatele della storia che imprigionano la “reliquia del tesoro” dell’autonomia valdostana.
Capita, così, che spesso si discute di tale istituto previsto (e mai attuato) dall’articolo 14 dello Statuto Speciale del 1948, documento che è legge di rango costituzionale della Repubblica italiana.
La zona franca, però, è un istituto che andava attuato, definito e regolamentato fin da subito, invece che - nelle more delle trattative con lo Stato che non si sa mai bene quanto siano realmente avvenute in maniera efficace e determinata - barattarlo con esenzioni fiscali su alcuni beni contingentati (benzina, zucchero, ...); peraltro prerogative durate alcune decine di anni fino a essere spazzate via dall’inderogabilità dei principi europei (almeno questa fu la “causa di morte ufficiale” decretata dall’autopsia politica...).
L’istituzione di una reale zona franca oggi appare un progetto difficile - ma non impossibile - da portare avanti. Le leggi di mercato, un governo italiano sicuramente sordo in tal senso e una Unione Europea lontana infiniti anni luce da tali argomenti, ostacolerebbero fin da subito qualsiasi iter, anche solo di avvio.
Tuttavia oggi esistono altre possibilità; per esempio richiedere allo Stato l’istituzione di zone franche d’impresa o di montagna, grazie alle quali dar una diversa spinta all’imprenditoria valdostana (certamente penalizzata da condizioni geomorfologiche meno favorevoli rispetto ad altri territori della penisola o europei) e dare impulso ai nostri villaggi di montagna; ma non è questo l’argomento che intendo approfondire qui e ora. Mi interessa, piuttosto, la genesi, l’origine dell’idea.
La concezione di zona franca in Valle d’Aosta potrebbe risalire già al 1895 quando l’8 settembre François Farinet (1854-1913), onorevole del Collegio di Verrès, scrisse all’ambasciatore italiano in Svizzera lamentando le continue difficoltà riscontrate con il Canton Vallese concernenti il transito del bestiame valdostano in Svizzera; limitazioni dovute a questioni sanitarie.(1)
La cosa dovette spingere fin da subito Farinet a trovare una qualche soluzione al problema, poiché agli inizi del 1897 il giornale torinese L’Opinione
informava già che a seguito dell’interessamento del politico valdostano, a Roma si stava costituendo una commissione formata dai deputati delle regioni di montagna e di confine, consesso finalizzato alla progettazione di una zona neutra doganale interessata ad eliminare il contrabbando in quelle aree e a stabilire nelle stesse delle zone franche.(2)
L’idea piacque molto a tanti, al punto che il giornale Il Popolo
dell’8-9 febbraio dichiarò che la relazione di Farinet raccolse in tutta la stampa un vero plebiscito di adesioni.(3)
In realtà non era proprio così dato che in diversi ambienti politici la questione fu oggetto di malumori. La Stampa
del 14 marzo 1897, per esempio, asserì che il progetto non solo non aveva ottenuto alcun accoglimento dal Governo, dato che non era stata depositata nessuna proposta ufficiale, ma che si trattava del lavoro di una commissione fantastica e non parlamentare: La zone douanière neutre, “telle qu’on la fait croire” est une tromperie électorale, une promesse sans échéance et sans base.(4)
L’idea, dunque, non andò molto oltre, ma restò per qualche tempo in una certa “letteratura” dato che nel corso degli anni ogni tanto veniva risvegliata per essere proposta da qualcuno. Basti pensare che nel 1913 un gruppo di elettori valdostani chiese l’istituzione di tale prerogativa scrivendo una lettera aperta al deputato del Collegio di Aosta, l’onorevole Giorgio Rattone (1857-1929).(5)
La ragione era chiara e gli scriventi la declinarono molto bene.
A loro dire l’estrema povertà della Valle spingeva molti cittadini verso la piaga del contrabbando per poter mantenere le loro famiglie. Or, la tentation est trop forte
“per noi Valdostani, fiancheggiati da due frontiere oltre le quali i nostri vicini godono di prezzi più bassi per alcuni prodotti fondamentali quali il sale, lo zucchero, il cioccolato, i fiammiferi, il petrolio, ecc...”; provviste che agli abitanti della Valle d’Aosta costavano, invece, il doppio: “Perché non fate una mozione alla Camera per far sì che la nostra Valle sia considerata zona franca, cosicché noi potremmo introdurre, senza dogana, tali prodotti di prima necessità? Ciò allevierebbe molto il bilancio delle famiglie degli operai ed eviterebbe quelle brutte storie di contrabbando assolutamente inevitabili nella nostra regione eccezionale per la sua posizione geografica.”
La risposta non si fece attendere molto. Per una zone neutre
il parlamentare Rattone dichiarò che avrebbe studiata la questione per sottometterla all’Autorità competente.(6)
Ma nulla si fece in una Italia alle porte dei due conflitti mondiali e della dittatura fascista.
La zona franca, finalmente, fu inserita nei decreti luogotenenziali del 7 settembre 1945 e poi recepita - ma mai applicata - nello Statuto speciale del 26 febbraio 1948.
(1) L’Echo des Agriculteurs Valdôtains, 15 ottobre 1895. (2) L’Echo des Agriculteurs Valdôtains, 1° gennaio 1897. (3) Le Mont-Blanc, 12 febbraio 1897. (4) Le Mont-Blanc, 19 marzo 1897. (5) Le Mont-Blanc, 22 agosto 1913. (6) Le Mont-Blanc, 26 settembre 1913.