L’inventore valdostano di un nuovo parafango

Mauro Caniggia Nicolotti • 21 marzo 2022
L’inventore valdostano di un nuovo parafango

Concorsi d’idee curiosi.

Nei primissimi anni Dieci del Novecento la Prefettura e il Comune di Parigi, in collaborazione con gli Automobile-Club della zona, organizzarono dei veri e propri concorsi internazionali di... parafango.
In sostanza si trattava di cercare e poi premiare il miglior modello capace di ridurre - se non addirittura evitare - gli schizzi provocati da un traffico sempre più crescente di autoveicoli.

Le prove dei parafanghi - numerosi di questi ingegni erano anche bizzarri, considerato il fatto che in tanti partecipavano al concorso di idee - avvenivano dapprima su pista, poi su strada; ovviamente ciò succedeva in occasione di giornate piovose.
Le autovetture testavano tutti i parafanghi proposti che venivano sperimentati sia in prossimità dei marciapiedi, sia facendo sfrecciare i veicoli accanto a particolari tabelloni bianchi graduati. Con questo semplice sistema veniva verificata l’altezza, l’ampiezza e la quantità di fango schizzato...(1)

A quanto potrebbe sembrare, furono quei concorsi d’idee ad attirare, tra i tanti, anche l’interesse di un giovane emigrato valdostano: Victor Fresc, un operaio, originario di Villeneuve e residente a Saint-Mandé (Île-de-France), comune situato nei pressi della capitale francese.(2)

I suoi esperimenti furono talmente incoraggianti che il 6 settembre 1913 egli brevettò a Parigi un suo tipo di parafango.

Per l’occasione Victor fu intervistato dal giornale L’Echo de la Vallée d’Aoste, organo d’informazione che da Parigi rappresentava la “voce” degli emigrati valdostani in Francia: la testimonianza dell’inventore fu pubblicata il 1° novembre 1913.
Al foglio, il giovane dichiarò che l’idea era cresciuta in lui un poco alla volta e che vi aveva lavorato da solo nei momenti liberi; con un Vous savez que cela maintenant est recherché par tous. Donc, je l’ai cherché moi aussi, sembra confermare quanto ipotizzato in precedenza sull’interesse che si era creato intorno alla necessità di un parafango valido.

Al suo ritrovato si era interessato anche un ingegnere della Compagnie Générale des Omnibus (CGO) che, per l’appunto, avrebbe chiesto consiglio alla Prefettura parigina di Polizia dato che tale istituzione, come detto, si trovava al centro dell’affaire; comunque sia, l’interesse di quel tecnico doveva essere alto, considerato che si era da poco proceduto al cambio radicale del parco macchine. L’ultima linea a cavallo intra-muros, infatti, era stata soppressa qualche mese prima, ossia il 12 gennaio, e la stessa CGO in quel momento poteva contare già su almeno 700 veicoli a motore; les autres voitures de places seront bien plus de dix mille.

Non si conosce molto altro dell’esito del brevetto di Fresc, progetto di cui lo stesso inventore affermava di avere sì qualche speranza in un eventuale commercio e guadagno, ma lucidamente riconosceva anche che ce sera peut-être difficile. L’ingegnere di Parigi, infatti, gli aveva fatto notare che il sistema proposto sarebbe costato troppo, per quanto l’inventore l’avesse rassicurato spiegandogli che sarebbe bastato modificare la “corona esterna” della ruota.(3)

In poche parole il sistema di Fresc, come descritto da un periodico dell’epoca,(4) era ingegnoso e differiva da altri conosciuti fino ad allora per una particolarità fondamentale: la ruota era preceduta esternamente da un disco che veniva mosso da un sistema rotatorio inverso. Grazie a ciò, il fango proiettato lateralmente contro la paratia stessa veniva rigettato a terra, mais avec une force de jet très atténuée.

Non si conosce molto altro né dell’invenzione, né di Victor se non che nel 1959 l’uomo risiedeva nella città Orléans, capoluogo della regione del Centro-Valle della Loira e del dipartimento del Loiret, ed era un sostenitore del giornale degli emigrati valdostani all’estero.(5)

Ecco, in breve, un curioso segmento di vita di uno dei nostri, tantissimi, émigrés...

(1) Le Figaro, 3 novembre 1912. (2) Saint-Mandé è un comune situato nel dipartimento della Valle della Marna nella regione dell’Île-de-France. (3) (...) que ce qu’il fallait changer, la couronne extérieure, pouvait être en manière très économique, L’Echo de la Vallée d’Aoste, 1° novembre 1913. (4) Vie au grand air, 29 novembre 1913. (5) In quell’anno, il benefattore Fresc aveva versato 3.000 franchi pour le journal, La Vallée d’Aoste, 28 marzo 1959.

Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 13 luglio 2025
160 anni fa, il Cervino L’abbé Amé Gorret (1836-1907), (1) un nome che risuona forte tra le pareti delle montagne valdostane, se n’era appena andato nel 1907, troppo presto, lasciando dietro di sé un’eredità che mescolava fede, roccia e audacia. Alpinista veterano, il suo nome compare nei racconti delle prime scalate che sfidarono il Cervino, la montagna che allora sembrava destinata solo agli audaci – e agli inglesi, che dappertutto tentavano scalate sulle Alpi. Era il 1857 quando Gorret si unì alle guide Carrel, Jean-Jacques e Jean-Antoine, per tentare ciò che molti giudicavano impossibile. Il gruppo arrivò fino alla Tête du Lion, ma fu costretto a fermarsi lì. Al ritorno, le voci di scherno non si fecero attendere: li chiamarono pazzi, dicendo che il Cervino era “roba da inglesi”. E infatti furono proprio gli inglesi, con Edward Whymper alla guida di un gruppo partito da Zermatt, a firmare la prima ascensione il 14 luglio 1865. Ma non fu una vittoria facile. (2) Sul versante opposto, gli italiani dal Breuil stavano già risalendo la montagna, in una corsa testa a testa che sarebbe diventata leggenda. Tre giorni dopo, il 17 luglio 1865, l’Italia scrisse la sua pagina di gloria. La cordata guidata da Jean-Antoine Carrel partì dal versante del Breuil e raggiunse la vetta del Cervino. Tra i membri di quella storica ascensione c’era anche l’ abbé Gorret. Fu un trionfo di determinazione e resistenza, conquistato senza il supporto tecnico e organizzativo di cui godevano gli alpinisti inglesi. Il contributo di Gorret rimase inciso nelle storie che avvolgono la montagna, tanto quanto la sua profonda spiritualità. Fu un uomo di chiesa, ma anche una roccia di coraggio. Un precursore, simbolo di un’epoca in cui sfidare il Cervino significava sfidare i limiti stessi dell’umano. (Tratto dal mio libro: 4.478 metri. Chi ha inventato il Cervino? (2025), p. 36. Immagine di copertina: Il Cervino visto dai Grans Moulins (part.). C. Ratti, F. Casanova, Guida illustrata della Valle d’Aosta. Stazioni estive e termo - minerali - Antichità romane - Castelli medievali - Escursioni ed ascensioni alpine , seconda edizione ritoccata, 1890, p. 135. (1) Gorret, religioso e alpinista originario di Valtournenche, era un uomo dal carattere singolare, noto per il suo atteggiamento brusco e caustico, spesso accompagnato da una verve piquante et enjouée . Questo tratto distintivo gli attirava critiche frequenti sia dentro che fuori la Chiesa. (2) Westminster Gazette , 5 dicembre 1907.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 10 luglio 2025
La mucca su di un albero ad Aosta Una mucca su un albero ad Aosta? Sembra uno scherzo, e in effetti lo è. Ma è anche molto di più: è una poesia inglese dell’Ottocento, un limerick, (1) che ha portato il nome di Aosta in giro per il mondo. Pubblicato nel 1846 da Edward Lear, artista e poeta britannico, questo componimento surreale ha viaggiato ben oltre la sua epoca. Ma prima di capire come e perché, leggiamolo: There was an old man of Aosta, C’era un vecchio signore d’Aosta Who possessed a large cow, but lost her; Che possedeva una gran mucca, ma l’ha persa; But they said, “Don’t you see, Ma gli dissero: “Non vedi, She has rushed up a tree?” È corsa su per un albero, lì?” You invidious old man of Aosta! Tu, invidioso vecchio d’Aosta! Una mucca che si arrampica su un albero? Perfettamente coerente con il tono del limerick, dove il senso si piega alla musicalità e all’effetto comico. Lear non era solo poeta, ma anche pittore, viaggiatore, spirito curioso. Il suo A Book of Nonsense del 1846 ebbe un successo straordinario, e i suoi versi influenzarono altri autori celebri come Lewis Carroll. I luoghi scelti nei suoi limerick non avevano necessariamente un legame con la realtà geografica: venivano selezionati per il suono, per l’effetto ritmico o per la rima. È questo il caso di Aosta. Perché Lear ha scelto proprio questa città? Probabilmente perché “Aosta” suonava bene. Tre sillabe, accento sulla seconda, finale aperta: perfetta per incastrarsi nella struttura musicale del limerick. Altre località non avrebbero garantito lo stesso equilibrio ritmico. “Aosta”, invece, regala una cadenza chiara, tonica e al tempo stesso vagamente esotica, senza essere troppo distante dalla sensibilità anglosassone. Il vecchio aostano della poesia non ha nulla a che vedere con la città reale, è chiaro. Ma è curioso notare come proprio Aosta, con le sue tradizionali mucche, venga scelta in una poesia dove una mucca compie un gesto assurdo. Il nome della nostra città è finito, dunque, in una poesia inglese ottocentesca e ha attraversato mari, oceani e tempo. (2) Un piccolo frammento di Valle d’Aosta disperso nel grande mare della letteratura. L'immagine di copertina, creata dall'intelligenza artificiale, è solo evocativa. (1) Il limerick è una forma poetica di origine inglese, composta da cinque versi con schema di rima AABBA e contenuto generalmente assurdo o comico. Il ritmo è regolare e cadenzato, spesso costruito per suscitare una sorpresa o un sorriso finale. (2) ) Gisborne Times (Nuova Zelanda), 20 novembre 1909.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 7 luglio 2025
Prossima fermata! Un viaggio a puntate nella città di Aosta che potrebbe essere Questa rubrica nasce come esercizio di immaginazione urbana . Le idee che seguono non tengono conto — per scelta, ovviamente — di costi, vincoli tecnici o tempi amministrativi. Non perché questi non siano importanti, al contrario, ma perché vorrei partire da ciò che per me è desiderabile, prima ancora che realizzabile. Si tratta solo di spunti, interi o parziali , che provano a suggerire una direzione diversa per la città attuale, una possibilità, un nuovo modo di guardare Aosta. In un tempo in cui è facile arrendersi al “non si può”, qui proviamo a dire: “e se si potesse?” Perché anche Aosta, piccola e bellissima, ha diritto a una visione. E il futuro — a volte — comincia anche da una semplice idea. Puntata 10 – Aosta, tra micro-identità e sapori Mi piacerebbe che Aosta tornasse a riconoscersi nei suoi quartieri . Non come parti staccate o divisioni di una città, ma come anime diverse di un’unica comunità. Oggi Aosta si presenta – giustamente – come una città unitaria, compatta, raccolta intorno al suo centro storico e nei suoi spazi moderni. Ma sotto questa superficie vive una stratificazione di memorie, di zone urbane cresciute nel tempo, ciascuna con la propria voce: la Cité , il Borgo di Sant’Orso , in particolar modo. Nel Medioevo la città era fatta di terzieri e di sobborghi. Piccoli mondi comunicanti, ciascuno con la sua identità e storia. Molte città d’Europa – da Lione a Lisbona – hanno saputo valorizzare queste micro-identità urbane , trasformandole non solo in attrazione turistica, ma in motore culturale: itinerari, eventi, label riconoscibili, tradizioni culinarie e artigianali recuperate o magari reinventate con un tocco creativo. E se anche Aosta tornasse a raccontarsi per quartieri storici? Non per dividere, ma per moltiplicare i punti di vista. Immaginiamo, per esempio, che l’antica Cité – un tempo corrispondente a gran parte dell’area interna alla cinta romana – venga riconosciuta come una zona con una propria identità visiva, un’etichetta urbana, anche oggi che i suoi confini si sono naturalmente allargati. E lo stesso per il Borgo di Sant’Orso , che conserva un cuore antico e popolare, ma che potrebbe diventare il perno di un racconto rinnovato, esteso oltre i suoi limiti storici. Immaginiamo questi due polmoni culturali, storici e commerciali della città che tornano a parlare con la loro voce. E immaginiamo che quella voce si traduca anche in prodotti. Non solo gadget (tutti da inventare), ma cibi . Sì, perché anche i cibi possono essere una riscoperta. Non importa se non sono documentati o se nascono da una ricostruzione poetica. Ogni città ha diritto alla propria mitologia gustativa . Un piatto del Borgo, una merenda della Cité , un dolce che ricordi un personaggio. Creazioni che diventano simbolo, che raccontano luoghi ma parlano a tutta la città. E allora immaginiamo un Pain de Napoléon , ispirato a un vecchio aneddoto secondo cui un panettiere di Saint-Étienne , durante l’occupazione francese, aveva preparato un pane tanto buono da meritarsi il permesso di usare il nome di Bonaparte come insegna. Un pane da reinventare, magari a forma di feluca, fragrante e scuro, come se avesse viaggiato nel tempo. E ancora: un biscotto di Sant’Orso , magari a forma di uccellini, in memoria di quelli che si posavano sulle sue spalle. E il ritorno di un dolce di nicchia a livello commerciale, il Gâteau des Rois , reinterpretato come simbolo di un’epoca e dell'Epifania: una nuova Couronna di Rèy , potremmo ribattezzarla. E a Manzetti, genio misconosciuto, non potremmo forse dedicare un cornetto-croissant, la Cornetta di Aosta ? Una via di mezzo tra un cannolo e un croissant, con guarnizione esterna di crema pasticcera ramata che ricordi i fili del telefono, e un impasto che suoni come invenzione. E poi, volendo, c’è anche l’esperienza delle Lacrime di San Lorenzo , da me ideate nel 2007 per le “Notti di San Lorenzo”, e realizzate da alcuni pasticceri valdostani: un biscotto con farina di castagne e confettura di fragole, fragile e poetico, come un desiderio espresso sotto le stelle. Un dolce che potrebbe ancora essere rilanciato come una delle specialità del Borgo di Sant’Orso, da legare alla parrocchia dedicata a San Lorenzo (10 agosto). E qui si apre un’altra possibilità: quella delle feste patronali . Aosta ha due grandi poli spirituali e civici: da una parte Sant’Orso con la sua chiesa e la memoria di San Lorenzo (10 agosto), dall’altra la Cattedrale con la festa dell’ Assunzione , il 15 agosto. Oggi queste ricorrenze passano inosservate, assorbite dal tempo estivo o da altri eventi, anche importanti. E se invece tornassero a vivere? Una settimana diffusa, tra il 10 e il 15 agosto, potrebbe legare la Cité e il Borgo in un’unica festa, coinvolgendo le parrocchie, i commercianti. So benissimo che si aggiungerebbe al già tanto che si organizza. Ma quando è festa... Concerti, fiaccolate, racconti, visite, momenti per i residenti e per i turisti. Una nuova forma di festa patronale che sappia parlare il linguaggio del presente. Ecco. Non si tratta solo di creare nuove ricette o appuntamenti. Si tratta di restituire voce e forma a ciò che Aosta potrebbe essere. Perché anche le città – vecchie e nuove, come chi le abita – hanno bisogno di ritrovare i propri racconti. Perché è lì, nella memoria condivisa, che si intrecciano le radici e i passi di chi arriva. L'immagine di copertina, creata dall'intelligenza artificiale, è solo evocativa e presenta quello che potrebbe essere un biscotto dedicato a Sant'Orso.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 3 luglio 2025
Prossima fermata! Un viaggio a puntate nella città di Aosta che potrebbe essere Questa rubrica nasce come esercizio di immaginazione urbana . Le idee che seguono non tengono conto — per scelta, ovviamente — di costi, vincoli tecnici o tempi amministrativi. Non perché questi non siano importanti, al contrario, ma perché vorrei partire da ciò che per me è desiderabile, prima ancora che realizzabile. Si tratta solo di spunti, interi o parziali , che provano a suggerire una direzione diversa per la città attuale, una possibilità, un nuovo modo di guardare Aosta. In un tempo in cui è facile arrendersi al “non si può”, qui proviamo a dire: “e se si potesse?” Perché anche Aosta, piccola e bellissima, ha diritto a una visione. E il futuro — a volte — comincia anche da una semplice idea. Puntata 9 – Una città che respira La città cambia, lentamente, sotto i piedi di chi la percorre ogni giorno. Il manto stradale e i marciapiedi di Aosta mostrano ovunque segni di usura: crepe, cedimenti, buche “a macchia di leopardo” che si aprono all’improvviso. Pensiamo, per esempio, agli ultimi episodi: voragini improvvise, tratti dissestati che appaiono non solo nelle vie principali, ma anche lungo le strade secondarie. Non si tratta di casi isolati, ma della fotografia di una condizione diffusa, di una città che mostra le sue stanchezze. Serve un intervento globale: ripristinare il manto, sostituire l’asfalto rovinato con superfici più resistenti, rifare i marciapiedi utilizzando materiali omogenei, drenanti e antisdrucciolo, che possano garantire sicurezza e durata. Alberare i viali il più possibile e realizzare, dove mancano, tratti di marciapiede o pedane che permettano, soprattutto agli anziani o a persone con mobilità ridotta, di accedere (o scendere) più facilmente dai mezzi pubblici. Accogliere il verde nascosto C’è poi un’altra città , invisibile ai più, nascosta dietro muri che si susseguono lunghi e alti, spesso ciechi – ovvero privi di finestre o aperture – soprattutto in alcune vie del centro storico: via Guido Rey, via Sant’Orso (nei pressi del vecchio cimitero), via San Giocondo. Queste pareti, in pietra o intonaco, sembrano appartenere a un tempo lontano, quando bisognava delimitare, difendere, escludere. Ma oggi? Se quei muri diventassero superfici più leggere, più permeabili allo sguardo? Non abbattuti, ma trasformati: dotati di cancellate, inferriate, grate, che permettano di intravedere ciò che si cela oltre. Cortili verdi, orti nascosti, pergolati, micro-giardini privati. Angoli segreti che potrebbero, con discrezione, diventare parte del paesaggio quotidiano. Non si tratta di violare la privacy, né di forzare l’intimità di quegli spazi. Al contrario, sarebbe un modo per integrarla nel volto urbano di Aosta, offrendo scorci di meraviglia che arricchiscano la passeggiata, aprano alla scoperta, creino bellezza. Ci sarebbero vantaggi anche pratici: una ventilazione più naturale tra le vie, forse più ombra e frescura nei mesi estivi, un tessuto urbano che respira e si mostra. Accogliere il verde nascosto significa restituire alla città un gesto semplice ma potente: lasciar passare la luce, lo sguardo, la curiosità. Non servono cantieri faraonici. Basta togliere il superfluo, alleggerire le pareti, ascoltare quel che già esiste. Una città che si apre , che si mostra senza ostentare. Una città che respira . L'immagine di copertina, creata dall'intelligenza artificiale, è sol o evocat iva.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 30 giugno 2025
Prossima fermata! Un viaggio a puntate nella città di Aosta che potrebbe essere Questa rubrica nasce come esercizio di immaginazione urbana . Le idee che seguono non tengono conto — per scelta, ovviamente — di costi, vincoli tecnici o tempi amministrativi. Non perché questi non siano importanti, al contrario, ma perché vorrei partire da ciò che per me è desiderabile, prima ancora che realizzabile. Si tratta solo di spunti, interi o parziali , che provano a suggerire una direzione diversa per la città attuale, una possibilità, un nuovo modo di guardare Aosta. In un tempo in cui è facile arrendersi al “non si può”, qui proviamo a dire: “e se si potesse?” Perché anche Aosta, piccola e bellissima, ha diritto a una visione. E il futuro — a volte — comincia anche da una semplice idea. Puntata 8 – L'Arco di... gusto... C’è una zona di Aosta che tutti conoscono, ma che pochi vivono davvero. L’Arco di Augusto resta isolato al centro di una rotatoria, circondato dal traffico, difficile da raggiungere a piedi senza sentirsi fuori posto. L’idea è semplice: trasformare l’area attorno all’Arco in uno spazio urbano più accessibile e integrato , restituendogli dignità e continuità con il resto della città. Il traffico, come avviene già da qualche anno, resta concentrato sul lato di Viale Chabod – piazza Arco d’Augusto, mentre il lato opposto, un tempo attraversato dalla vecchia arteria stradale, può finalmente essere ripensato come zona pedonale verde, con camminamenti, alberature, sedute, punti d’acqua e ombra. Attorno all’Arco potrebbe così svilupparsi un giardino urbano continuo , che si estende fino alla scuola: il cortile, che resta chiuso e scolastico com’è giusto che sia, andrebbe raddoppiato in larghezza, assorbendo parte dell’attuale parcheggio alberato. Il nuovo parco pubblico si svilupperebbe accanto, in contiguità visiva e funzionale, ma senza invadere lo spazio scolastico. Un piccolo spazio verde, elegante e ben progettato, pensato per accogliere alunni in entrata e uscita, turisti e cittadini. Non si preoccupino gli automobilisti: non mancheranno posti auto. Nella puntata uno abbiamo immaginato centinaia di parcheggi sotto il Puchoz. Sogni, lo so... ma anche i sogni, a volte, si disegnano. Si mantengono e si valorizzano: le due fontane esistenti (una sul lato sud dell'attuale parcheggio, l’altra accanto ai chioschi), come punti d’acqua potabile, con un design meno cementizio e più armonioso; magari realizzate da artisti locali. I due platani plurisecolari, che continuano a dialogare tra loro, intoccabili e tutelati; la statua di Cesare Ottaviano Augusto e la maquette per non vedenti, da integrare con cura nel nuovo disegno urbano; i due chioschi, da rinnovare e rifunzionalizzare con discrezione; e la "bibliotechina", che già c’è — ma meriterebbe di uscire dall’involucro attuale (vecchie cabine telefoniche) per essere ospitata in una struttura leggera, in legno e vetro, più coerente e gradevole con il contesto. Un sistema di sentieri collegherebbe l’intera area verde con i passaggi pedonali, la scuola, la zona del Buthier e viale Garibaldi, creando una rete fluida e percorribile a piedi o in bicicletta. L’obiettivo non è creare un monumento in più, ma rendere fruibile e vissuta una zona centrale , oggi solo attraversata. Un piccolo intervento di riordino urbano, che unisce cura, sobrietà e attenzione per ciò che già esiste. E poi — con l’Arco restaurato — sarà davvero il momento di restituirgli anche uno spazio all’altezza. L'immagine di copertina, creata dall'intelligenza artificiale, è solo evocativa.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 27 giugno 2025
Prossima fermata ! Un viaggio a puntate nella città di Aosta che potrebbe essere Questa rubrica nasce come esercizio di immaginazione urbana . Le idee che seguono non tengono conto — per scelta, ovviamente — di costi, vincoli tecnici o tempi amministrativi. Non perché questi non siano importanti, al contrario, ma perché vorrei partire da ciò che per me è desiderabile, prima ancora che realizzabile. Si tratta solo di spunti, interi o parzial i, che provano a suggerire una direzione diversa per la città attuale, una possibilità, un nuovo modo di guardare Aosta. In un tempo in cui è facile arrendersi al “non si può”, qui proviamo a dire: “e se si potesse?” Perché anche Aosta, piccola e bellissima, ha diritto a una visione. E il futuro — a volte — comincia anche da una semplice idea. Puntata 7 – Piazza Roncas, piazza d’acqua C’è uno spazio di Aosta che sembra aver dimenticato la propria anima. È Piazza Roncas , oggi spoglia e silenziosa. Eppure, proprio qui — dove il vuoto urbano è più evidente — scorrono sotto i nostri passi alcune tra le tracce più emblematiche della storia cittadina. Non tutti lo sanno, ma sotto la piazza si celano i resti del bastione romano della Porta Principalis Sinistra, l’ingresso nord di Augusta Praetoria Salassorum. Davanti all’attuale ingresso del museo, un perimetro rettangolare in pietre diverse indica oggi il punto in cui svettava una delle torri della porta, un tempo utilizzata sia per l’accesso che come parte del sistema idrico romano. Proprio lungo quel profilo, infatti, si affacciava il castellum aquae : una condotta di distribuzione dell’acqua, incardinata nella torre e collegata a una rete di tubature in piombo che alimentavano fontane, bagni pubblici e privati. Un sistema concepito per regolare pressione e flusso con rigore ingegneristico. Una piazza dell’acqua La nuova identità di Piazza Roncas potrebbe fondarsi proprio su questo elemento vitale — l’ acqua — e su ciò che ancora oggi sostiene e racconta: Il canale de la Ville (una diramazione della Mère des Rives ), che scorre da est verso ovest e lambisce il lato nord della piazza, alimenta una ruota idraulica moderna , inserita qualche anno fa, probabilmente come omaggio alla memoria dei mulini che un tempo punteggiavano il tracciato dell’acqua. Il lavatoio storico , che precede la ruota, dovrebbe essere restaurato e integrato come segno vivo della memoria collettiva. Tutta la pavimentazione potrebbe essere ripensata con attenzione, mantenendo e valorizzando la traccia della torre romana, suggerendo a chi cammina la presenza del tempo. Una nuova fontana (e non l’attuale “tombana”, come la chiama qualcuno) potrebbe dialogare con la ruota, evocando il fluire dell’acqua. Una struttura minimale e leggera — in pietra, vetro e legno — potrebbe ospitare testi e pannelli narrativi sulla storia dell’acqua relativa ad Aosta . La piazza potrebbe vantare un verde importante e integrato: alberi slanciati, aiuole eleganti, piante, inserite con cura tra pietra e architettura. Sedute eleganti, in legno e ferro, dalle forme morbide: pensate per la contemplazione, il racconto, la convivialità. Si potrebbe pensare a un piccolo anfiteatro , zona d’incontro soprattutto per i giovani, dove organizzare piccoli eventi culturali, anche estemporanei. E forse, una statua : un’opera contemporanea, realizzata da un artista valdostano, potrebbe diventare simbolo silenzioso del legame tra acqua, storia e comunità. Nel fluire dell’acqua, Piazza Roncas può ritrovare la sua voce. L'immagine di copertina, creata dall'intelligenza artificiale, è solo evocativa.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 19 giugno 2025
Prossima fermata! Un viaggio a puntate nella città di Aosta che potrebbe essere Questa rubrica nasce come esercizio di immaginazione urbana. Le idee che seguono non tengono conto — per scelta, ovviamente — di costi, vincoli tecnici o tempi amministrativi. Non perché questi non siano importanti, al contrario, ma perché vorrei partire da ciò che per me è desiderabile, prima ancora che realizzabile. Si tratta solo di spunti, interi o parziali, che provano a suggerire una direzione diversa per la città attuale, una possibilità, un nuovo modo di guardare Aosta. In un tempo in cui è facile arrendersi al “non si può”, qui proviamo a dire: “e se si potesse?” Perché anche Aosta, piccola e bellissima, ha diritto a una visione. E il futuro — a volte — comincia anche da una semplice idea. Puntata 6 – La zona dell’ospedale di Aosta Tra viale Ginevra, via Guédoz e via Roma si estende un’area centrale, oggi poco riconoscibile a causa dei cantieri, ma carica di significati e di potenzialità. Proprio lì, nel corso delle indagini archeologiche legate ai progetti di ampliamento dell’attuale ospedale Umberto Parini, sono emerse testimonianze eccezionali: una sepoltura celtica di rilievo – forse attribuibile a un “principe” –, un cromlech dell’Età del Ferro con oltre venti monoliti disposti in cerchio, tracce salasse, resti romani e medievali. Una stratificazione unica, che racconta un luogo attraversato nel tempo e, forse, vissuto come sacro fin dall’antichità. È qui che si potrebbe immaginare la nascita di un nuovo museo interamente dedicato alla Civiltà romana e a quella salassa della Valle d’Aosta. Non un museo diffuso o frammentato, ma uno spazio unitario, moderno, immersivo, capace di restituire al pubblico un racconto coerente, coinvolgente e accessibile sull’eredità archeologica della regione. Il nuovo museo andrebbe a sostituire l’attuale sede espositiva di piazza Roncas, mantenendo in quel palazzo gli uffici della Soprintendenza per i beni e le attività culturali della Valle d’Aosta. Gli ambienti liberati dalla sezione museale potrebbero così essere destinati a mostre temporanee, attività culturali, incontri, integrandosi con la piazza antistante in un percorso cittadino più dinamico e ancora da inventare. Il nuovo museo nascerebbe con spazi più ampi e adeguati, in grado di ospitare: esposizioni permanenti e temporanee, laboratori didattici, ambienti creativi per scuole e famiglie, una zona accoglienza per gruppi e turisti, un bookshop, una libreria tematica, e – perché no? – anche un caffè culturale. Un luogo vivo e accogliente, capace di dialogare con studiosi, cittadini, giovani e visitatori. Una trasformazione urbana possibile La trasformazione coinvolgerebbe anche l’area oggi occupata e circondata dall’attuale ospedale: uno spazio strategico, che potrebbe – in un futuro ipotetico – essere ripensato urbanisticamente. L’eventuale trasferimento del polo sanitario (come auspicato da tempo da diversi soggetti, ad esempio verso Saint-Christophe) aprirebbe nuove possibilità di rigenerazione urbana. Si potrebbe immaginare, ad esempio: lo spostamento in questo sito del Palazzo regionale , con parcheggio integrato e visivamente nascosto nel verde (non interrato, ma coperto, senza la percezione visibile di asfalto); parcheggio collocato sull'area prospiciente il lato che guarda su via Saint-Martin-de-Corléans. Il nuovo, e unico, “Palazzo Regionale” sfrutterebbe l'edificio dell'attuale ospedale e sarebbe così capace di accogliere insieme servizi e funzioni oggi sparsi in molti edifici del centro. Un’occasione anche per alleggerire il traffico nel cuore di Aosta e restituire centralità e maggiore funzionalità all'amministrazione pubblica; e soprattutto facilitare i cittadini, a volte costretti dalla burocrazia a raggiungere uffici anche distanti tra loro. Conclusione Un sogno? Certamente! Ma ogni città ha bisogno di visioni. E Aosta – che qualcuno, fin dall’Ottocento, ha definito “ la Roma delle Alpi ” – merita forse di essere raccontata e vissuta anche come tale. L'immagine di copertina, creata dall'intelligenza artificiale, è solo evocativa.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 16 giugno 2025
Aosta è la città di tutti i valdostani Aosta, 100 anni dopo: i tempi cambiano, ma le sfide restano Notre Ville d’Aoste devrait faire un peu de toilette pour recevoir dignement et sans rougir ceux qui viennent la voir et l’admirer , ( Le Mont-Blanc , 29 maggio 1925). Nel maggio del 1925, sulle colonne del giornale Le Mont-Blanc , compariva un articolo intitolato semplicemente: La Ville d’Aoste . Un testo puntuale e preciso che denunciava le condizioni igieniche e urbanistiche della città. L’autore, infatti, elencava una lunga serie di problemi. Ecco alcuni dei punti toccati: - Strade sporche - Fosse per letame e immondizie a cielo aperto nei vicoli e dietro le case - Presenza massiccia di insetti e miasmi, veri focolai d’infezione - Cittadini che gettavano i vasi da notte nei ruscelli pubblici - Totale assenza di fognature - Ruscelli usati anche per lavare insalate e ortaggi destinati alla vendita - Passaggi urbani invasi da vetri rotti, cocci, stracci, scarpe, carcasse di animali - Mancanza di acqua potabile ai piani alti e nei servizi igienici - Illuminazione pubblica insufficiente o assente - Carri con carichi ingombranti nelle vie strette, a rischio per passanti e vetrine - Automobili e biciclette senza regole, che sfrecciavano “a tutto gas” senza fari né segnali - Avvisi comunali ignorati e sanzioni mai applicate Un secolo dopo, tutte queste situazioni, fortunatamente, sono state superate. Oggi godiamo di acqua potabile, di fognature, di viabilità regolamentata, di illuminazione pubblica e di una raccolta dei rifiuti strutturata, ecc. Aosta è progredita. Ma viene normale chiedersi: quali sono, oggi, i problemi di una città che ha più di due millenni di storia? Perché ogni epoca ha le sue fragilità. Le sue urgenze. Le sue sfide. - Servono una raccolta rifiuti più efficiente e una tassazione più equa - La manutenzione di strade e marciapiedi, spesso dissestati o trascurati - Una maggiore cura e un incremento del verde pubblico - Una viabilità migliore e coerente con le esigenze di residenti e visitatori - Il futuro dell’ospedale, come edificio e come zona urbana da ripensare - Il decoro urbano, in particolare nelle zone non centrali - Spazi pubblici, piazze comprese, accoglienti e vivi, davvero pensati per tutti - Luoghi culturali e di aggregazione per giovani e associazioni - Riqualificazione di zone importanti come l’area mercatale, il Puchoz, l’Arco d’Augusto, le arcate del Plot-Piazza della Repubblica, i quartieri - Parcheggi da ripensare, aumentare, riorganizzare - Soluzioni per riportare il piccolo commercio nel cuore della città - Il ripristino di Consigli frazionali e Consulte cittadine - Un investimento convinto nella bellezza come diritto, non come vezzo. E poi, tante altre cose che non trovano spazio qui, ma che chi abita Aosta conosce bene. Nel 1925 si chiedeva più rispetto per la città. Nel 2025 possiamo fare altrettanto, con gli strumenti e le responsabilità di oggi. Perché — come scriveva quell’autore di un secolo fa: non basta attirare turisti; o celebrare la storia millenaria - diremmo oggi - se chi abita Aosta ogni giorno si trova a convivere con trascuratezze e contraddizioni. Cent’anni fa si trattava di migliorare un piccolo borgo che diventava città. Oggi serve il coraggio di ripensare quella città, perché essa è un corpo che cresce e si trasforma di continuo. Aosta è la città di tutti i valdostani .
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 12 giugno 2025
Prossima fermata! Un viaggio a puntate nella città di Aosta che potrebbe essere Questa rubrica nasce come esercizio di immaginazione urbana. Le idee che seguono non tengono conto — per scelta, ovviamente — di costi, vincoli tecnici o tempi amministrativi. Non perché questi non siano importanti, al contrario, ma perché vorrei partire da ciò che per me è desiderabile, prima ancora che realizzabile. Si tratta solo di spunti, interi o parziali, che provano a suggerire una direzione diversa per la città attuale, una possibilità, un nuovo modo di guardare Aosta. In un tempo in cui è facile arrendersi al “non si può”, qui proviamo a dire: “e se si potesse?” Perché anche Aosta, piccola e bellissima, ha diritto a una visione. E il futuro — a volte — comincia anche da una semplice idea. Puntata 5 – Piazza Plouves e il suo “mantello verde” Se c’è un luogo di Aosta che più di altri rimane sospeso tra un passato ingombrante e un presente incompiuto, questo è senza dubbio piazza Plouves. Chi la conosce da tempo lo sa: piazza non è mai stata davvero. Nel corso degli anni è rimasta soprattutto un grande parcheggio, talvolta riarso dal sole, altre volte grigio e desolato, più raramente animato da qualche importante iniziativa temporanea. Di bello ha poco, eppure ha un grande potenziale nascosto, che meriterebbe di essere risvegliato. Negli ultimi tempi qualcosa si è mosso. Il Comune ha dato un segnale: ridotto il mare d’asfalto, tracciato il passaggio della pista ciclabile a nord, inserito dei filari di alberi. Un gesto importante, che va nella giusta direzione, ma che da solo non basta a cambiare l’anima del luogo. Anzi, per molti cittadini, il nuovo assetto rischia di generare nuove frustrazioni: meno parcheggi disponibili, una piazza che rimane a vocazione automobilistica, senza risolvere però il suo squilibrio visivo e funzionale. E sotto — ce lo diciamo con discrezione — sappiamo che il sottosuolo potrebbe custodire ancora importanti testimonianze romane: scavare non si può, e forse non si deve. Meglio rispettare ciò che sta sotto, e reinventare ciò che sta sopra. Proposta Immaginiamo allora una copertura leggera e verde, sospesa sopra l’attuale piano della piazza, che possa finalmente farla respirare. Non un semplice tetto, non un’altra pensilina, ma una vela urbana verde, capace di: ombreggiare i veicoli nelle ore calde; rendere lo spazio più vivibile e attraente; cambiare la percezione visiva di un angolo oggi respingente. La copertura: non comporterebbe scavi profondi: solo appoggi superficiali, ben calibrati; potrebbe essere realizzata con strutture leggere in metallo o legno lamellare, integrate nell’ambiente; avrebbe una parte superiore coperta di verde leggero: piante tappezzanti, sedum, piccoli rampicanti, che non pongano problemi di peso né di radici invasive. L’effetto sarebbe quello di una grande pergola moderna, una piazza che respira, che finalmente avrebbe: una nuova identità visiva; un miglior comfort termico e acustico; una funzione più accogliente per i cittadini e i visitatori; e, possibilmente, anche una struttura smontabile in occasione dei grandi padiglioni della Fiera di Sant’Orso. Conclusione Non serve inventare una nuova piazza. Serve liberare quella che già esiste dal peso della sua funzione più grigia, recuperando anche buona parte dei parcheggi persi con la nuova sistemazione. Fare in modo che chi passa, chi pedala, chi parcheggia, chi si ferma un istante... trovi un luogo più amico, più verde, più bello. Una piazza che non sia solo asfalto e ruote, ma una vela urbana che dia respiro a chi vi transita. L'immagine di copertina, creata dall'intelligenza artificiale, è solo evocativa.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 8 giugno 2025
Prossima fermata! Un viaggio a puntate nella città di Aosta che potrebbe essere Questa rubrica nasce come esercizio di immaginazione urbana. Le idee che seguono non tengono conto — per scelta, ovviamente — di costi, vincoli tecnici o tempi amministrativi. Non perché questi non siano importanti, al contrario, ma perché vorrei partire da ciò che per me è desiderabile, prima ancora che realizzabile. Si tratta solo di spunti, interi o parziali, che provano a suggerire una direzione diversa per la città attuale, una possibilità, un nuovo modo di guardare Aosta. In un tempo in cui è facile arrendersi al “non si può”, qui proviamo a dire: “e se si potesse?” Perché anche Aosta, piccola e bellissima, ha diritto a una visione. E il futuro — a volte — comincia anche da una semplice idea. Puntata 4 – Una zona franca Aosta Negli ultimi anni, il centro storico di Aosta si sta progressivamente svuotando. Molti negozi hanno chiuso, altri resistono con fatica. Il commercio si sposta verso i grandi centri commerciali sorti nelle immediate vicinanze, lasciando il cuore della città più fragile e più silenzioso. Eppure il centro di Aosta, con il suo impianto romano e medievale, resta un patrimonio unico: un centro che dovrebbe vivere ogni giorno, non solo nei momenti di festa o di visita turistica. Per questo, vale forse la pena tornare a guardare e ispirarsi anche a strumenti che la nostra Regione Autonoma ha già iscritti nella sua "costituzione". L’articolo 14 dello Statuto Speciale stabilisce che “ il territorio della Valle d'Aosta è posto fuori della linea doganale e costituisce zona franca ”, e che “le modalità di attuazione saranno concordate con la Regione e stabilite con legge dello Stato”. Una possibilità che, finora, non è mai stata realmente applicata e che può ispirare strade simili grazie a leggi nazionali attuali. Perché allora non partire da qui — oggi — per proporre, in armonia con lo Stato e con una visione condivisa, una zona franca di tipo commerciale mirata per il centro storico di Aosta e, perché no, anche per i comuni di alta montagna o altre aree da sostenere. Non è certo un’idea nuova la mia: anzi, di recente (1) si è parlato della possibilità di creare una zona franca anche per il cuore di Aosta. Nel caso specifico di Aosta, non si tratta di privilegiare un’area a scapito di altre, ma di contrastare la desertificazione del cuore urbano e restituire vitalità a quella che è, ancora, l’anima della città. Il perimetro potrebbe essere quello naturale intorno agli assi romani e medievali, comprendendo anche i quartieri storici che ancora oggi formano un tessuto commerciale e sociale riconoscibile. Qui, agevolazioni fiscali e contributive selettive potrebbero incentivare il mantenimento delle attività esistenti e attrarre nuove aperture legate alla qualità, all’artigianato, alla ristorazione, al commercio di prossimità. In parallelo — e senza pesantezze burocratiche — si potrebbe anche valorizzare l’identità storica delle diverse zone della città . Recuperare la memoria degli antichi borghi e sobborghi, riscoprire o reinventare feste e tradizioni locali — come quella patronale di San Lorenzo in piena estate, accanto alle più note ricorrenze come quella di Sant'Orso — potrebbe offrire un’occasione per arricchire il calendario cittadino e per creare nuove proposte turistiche e culturali. Zone come la Cité o il Borgo di Sant'Orso potrebbero così riscoprirsi anche come “quartieri storici-commerciali”, capaci di proporre prodotti e iniziative legate alla propria identità. Non sarebbe un progetto contro nessuno, ma per tutti. Per i cittadini, che avrebbero un centro più vivo e attrattivo; per i turisti, che incontrerebbero un’anima autentica della città; per chi oggi gestisce un’attività e per chi potrebbe scegliere di riaprire o di aprirne una nuova. Un sogno? Certo . Ma ogni città ha bisogno di visioni. E Aosta, oggi più che mai, potrebbe iniziare a scrivere la sua nuova storia anche da qui: dal cuore. (1) Mi riferisco, in particolare, alle recenti proposte avanzate da Rassemblement Valdôtain , a cui ho avuto modo di contribuire sul piano storico durante una presentazione pubblica. ➜ Leggi l’articolo L'immagine di copertina, creata dall'intelligenza artificiale, è solo evocativa.
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