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I nostri anziani siamo noi

Mauro Caniggia Nicolotti • 19 aprile 2020
I nostri anziani siamo noi

E' difficile mantenere il silenzio su certi temi. E in tempi come questi, in cui cioè siamo prigionieri di questo maledetto virus, di argomenti che ci fanno dibattere su quello che sta succedendo ce ne sono tanti; forse anche troppi.
Gli anziani, ospiti delle case di riposo, per esempio.

Mi chiedo: se non ci fosse stata questa tragedia, quando ci saremmo accorti - al di là di tutto - delle vere necessità delle strutture di accoglienza e soprattutto delle esigenze dei loro ospiti?
Non voglio certo fare il moralista, ma io in una casa di riposo (di Aosta) ci ho "vissuto" buona parte delle mie giornate, ogni giorno, per ben sei anni; ho smesso - purtroppo - diversi mesi fa, quando il destino ha deciso diversamente per mia mamma.
Vivendo dentro la struttura ho solo riscontrato professionalità e umanità.
Negli anni, caso mai, ho visto un Paese - l'Italia - che ha tagliato fondi alla Sanità e non accontentandosi di quei tanti, troppi, miliardi tolti, esigerne ancora da altri ambiti. Tra i molti contributi pretesi, i milioni a centinaia presi dal bilancio della Valle d'Aosta. Bilancio ridotto così del 40%; patrimonio che per oltre il 90% è costituito dalle imposte raccolte in loco e che servono per pagare anche quei servizi che in altre regioni - non autonome - sono di competenza dello Stato. Sottolineo tutto ciò, poiché sento già qualche detrattore reclamare che i soldi valdostani sono tutte "regalie" dello Stato (che, sempre secondo certe voci, ci manterrebbe...). Invece no. Basta anche con queste banalità e bufale.

Faccio una doverosa premessa: lungi da me - tra l'altro non essendo più "ospitato" in una casa di riposo - dare giudizi sulla situazione sanitaria di queste settimane e sui decessi tra gli anziani. Non intendo entrare nel merito, poiché credo che tali questioni non solo siano complesse, ma debbano essere affrontate da chi è titolato a farlo.
Mi sia permesso, invece, di pretendere dalla classe politica un cambiamento di verso. Ossia di voler finalmente perseguire quell'alto valore che è il benessere collettivo. Obiettivo che ora manca e che, invece, dovrebbe essere scritto nel primo articolo della Costituzione.
In questi anni, al contrario, i governi hanno preferito accettare supinamente le regole e le logiche imposte dall'Europa. Un'Unione che non è più quella di un tempo, quella cioè che faceva sognare tanti di noi; speranzosi di far parte un giorno di una grande comunità continentale coesa e solidale.
Invece no. Ci siamo trovati coinvolti in scelte poco lungimiranti e avvinghiate solo intorno a logiche di austerità.
Giusto? Sbagliato? Se dopo una dozzina di anni di "manovre" le cose non sono affatto mutate...
Insomma, abbiamo assistito così al peggioramento dei nostri servizi, tra i quali - appunto - quelli riservati agli anziani. E quando scrivo "peggioramento" non intendo riferirmi alle professionalità del personale o alla qualità delle strutture per anziani. No! Almeno secondo la mia esperienza personale.
Nelle strutture che ho frequentato, infatti, i servizi forniti li ho visti sempre di livello, ma immersi nelle mille criticità dovute - è bene ripeterlo - soprattutto alla riduzione o alla carenza dei fondi necessari.

Comunque sia - risorse ridotte a parte -, altra cosa è stata "il come" affrontare l'emergenza coronavirus.
Qui la politica ha fatto tanti errori e ad ogni livello territoriale, quindi anche in Valle d'Aosta dove la Sanità si è trovata da sola a combattere.
Tutto ciò è successo anche a causa della mancanza di un qualche piano di emergenza nazionale che avrebbe dovuto metterci tutti il più possibile al riparo dalla calamità.
Un progetto che doveva porre attenzione e priorità proprio ai più deboli, dunque anche agli anziani.

I nostri anziani siamo noi, ma non ce ne rendiamo ancora conto.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 28 novembre 2024
Oro!! Antefatto. Questa storia particolare si dipana nel cuore dell’Ottocento e, pur partendo da luoghi lontani dalla Valle d’Aosta, si riversa nelle sue montagne, emergendo dal fruscio delle acque, dalle giogaie e dai fitti boschi di alcuni valloni valdostani. Il geologo francese Bertrand De Lom era un ricercatore inarrestabile, letteralmente vulcanico. Citato nelle riviste specialistiche dell’epoca, era l’artefice di numerosi ritrovamenti di minerali particolari. Le sue considerazioni, scoperte, analisi, giudizi e consulti venivano riportati e apprezzati nei consessi scientifici di tutta Europa. De Lom si occupava di vari campi delle scienze, tanto da individuare nell’Alta Loira un deposito di fossili, tra cui ossa di mastodonte e di elefante. (1) Un giorno, percorrendo la Valle d’Aosta, si imbatté nell’ennesima scoperta, che presentò nel 1841 durante una riunione dell’Accademia delle Scienze di Francia. In quell’occasione, descrisse una novella specie di minerale , chiamata Romeina , trovata nella miniera di San Marcello, in Piemonte . (2) Nel 1849 citò nello stesso luogo un altro ritrovamento: la greenovite , definita come “uno sfeno di color roseo”. (3) Le potenzialità della zona lo interessarono al punto da spingerlo a proseguire le ricerche direttamente sul posto. Era il 1850, e i sogni di ricchezza sembravano risuonare tra i fianchi rocciosi dei valloni di Saint-Marcel, Laures e Grauson, dove l’intrepido geologo francese si affaccendava tra massi e torrenti, convinto che il sottosuolo celasse tesori inimmaginabili. Instancabile, De Lom vedeva in quei luoghi più di quanto gli occhi potessero notare. Nei suoi rapporti ufficiali descriveva con entusiasmo un système de roche che si estendeva senza interruzione per oltre dodici chilometri di lunghezza e sei di larghezza, solcato da tre corsi d’acqua che attraversano i valloni di Grauson (nel territorio di Cogne), di Saint-Marcel e di Brissogne. (4) Secondo lui, i tre corsi d’acqua e i numerosi canali naturali presenti sui fianchi delle montagne, grazie alla loro inclinazione, avrebbero permesso di trasportare il materiale aurifero a valle senza costi aggiuntivi. Affiancato da altri professionisti, (5) De Lom certificò con fermezza che, lungi dall’aver esagerato ( sur l’honneur, que loin d’avoir exagéré ), le sue conclusioni erano persino più modeste rispetto alle effettive potenzialità del territorio. Davanti al Congresso Scientifico di Francia riunitosi a Orléans nel settembre 1851, De Lom affermò che la quantite d’or actuellement en circolation sur toute étendue du globe poteva essere stimata in 4 milioni di chili, per un valore intrinseco di 12.800.000.000 di franchi. Secondo lui, dopo il ritrovamento del nuovo giacimento in Valle d’Aosta, quella cifra sarebbe potuta salire à cinq cents fois . Stimava infatti una massa d’oro pari a 192 miliardi di metri cubi, valutabile in 5 miliardi e 760 milioni di franchi. (6) Epilogo. Nel 1852 un giornale neozelandese annunciò che il collega francese Le Constitutionnel , in un articolo sulle ricerche aurifere in California e Australia, aveva riportato la scoperta di oro da parte di alcuni ingegneri in Valle d’Aosta. La notizia aveva fatto affermare al giornale che mezzo Regno di Sardegna sarebbe impazzito a causa di questa scoperta. “È vero”, sosteneva un altro periodico, il Daily News , “che l’oro è stato trovato in diverse parti del Piemonte, ma il minerale estratto non sembra sufficiente a ripagare i costi della ricerc a. Quanto alla scoperta di una ricchissima miniera d’oro in territorio valdostano, non ne troviamo traccia nei giornali italiani”. (7) La questione somigliava a un classico gioco del telefono senza fili: i partecipanti, disposti in fila, bisbigliano una parola all’orecchio del vicino. La parola ripetuta da tutti fino all’ultimo giocatore risulta, nella maggior parte dei casi, sostanzialmente diversa da quella iniziale, a causa delle mille variabili che si producono nel riportare quanto sentito. E così fu anche in questo caso particolare. La notizia non era stata riportata dai giornali italiani semplicemente perché quella ricchezza non era certa, come invece prospettato con enfasi da alcuni giornali stranieri, che sembravano intravedere una “corsa all’oro” sulle Alpi. Probabilmente, all’estero qualcuno, in un vero e proprio corto circuito interpretativo, aveva anche male interpretato un avviso presente nella gazette piémontaise, qui nous fait croire que l’on ne tardera pas à exploiter la mine d’or de St-Marcel . Infatti, in base all’articolo 25 del Regio Decreto del 30 giugno 1840, il conte Victor Seyssel d’Aix e il “nostro” Bertrand De Lom, nel marzo del 1851, avevano presentato una richiesta per ottenere la concessione di quell’ipotetico filone aurifero che sospettavano esistere nei territori di Cogne, Saint-Marcel e Brissogne, à la région de L’Or . (8) Il toponimo région de L’Or e la concessione causarono una sorta di clamore mediatico. In realtà, il nome corretto è Laures ( Vallon de Laures ), la cui pronuncia e riscrittura in “L’Or”, insieme alla voglia di ribattezzare quella zona come fosse un Eldorado, fecero il resto. Il toponimo Laures non aveva nulla a che vedere con il nobile metallo: si tratta semplicemente di una variante di Arp , che significa montagna o altura. Foto di copertina: Lettera del 1850 (vedi nota n. 4). (1) Annuario Scientifico ed Industriale , anno III, 1866, p. 405. (2) Il Lucifero. Giornale scientifico, letterario, artistico, industriale , 20 ottobre 1841. (3) Enciclopedia popolare , Tomo XI, 1849, p. 852. (4) Lettera del 16 ottobre 1850, Archivio Mauro Caniggia Nicolotti, Vol. D, doc. 26. (5) Si tratta dei “signori Luogotenenti Besozzi Joseph, Grindetti Joseph e il Sottotenente Ferrari Jean, invitati dal Sig. Bertrand di Lom a venire in suo aiuto in un lavoro di planimetria riguardante il giacimento aurifero” da lui scoperto. (6) Congrès Scientifique de France , XVIII session, Tomo I, 1852, p. 72. (7) Daily Southern Cross , 30 marzo 1852. (8) L’Indépendant , 10 aprile 1851.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 25 novembre 2024
Misteri tra i ghiacci del Cervino... Nel settembre del 1885, tra le fredde vette della regione del Cervino, una scoperta curiosa scosse l’immaginario collettivo. Alexandre Pession, una guida alpina di Valtournenche, mentre percorreva i pascoli sopra Giomen e La-Barma, a circa 80 metri sopra il ghiacciaio del Colle del Teodulo (3.316 m), si imbatté in una massiccia trave di legno. Incuriosito, cominciò a scavare nei ghiacci e portò alla luce qualcosa di incredibile: due cadaveri disposti a forma di croce, con alcuni resti ancora parzialmente ricoperti dalla carne. Accanto a loro giacevano due teste di cavallo, otto zampe ancora ferrate e un assortimento di oggetti particolari: due croci d’argento apribili, reliquiari, grani di rosario, medaglie (una incisa con il nome Matheus), noccioli di ciliegia, brandelli di abiti, una piccola botte con le iniziali P.M.Z. o V., e nodi di corda in legno, uno dei quali inciso con la data 1582. Infine, spuntavano dalla neve dodici lunghe assi di legno. (1) La scoperta suscitò numerose ipotesi. Chi erano quei due uomini? Alcuni li identificarono come pellegrini diretti all’abbazia di Einsiedeln; altri suggerirono che fossero soldati a guardia di un avamposto militare; altri ancora pensarono a mercanti piemontesi sorpresi da una tormenta. Ma le assi di legno lasciarono spazio a ulteriori speculazioni. Servivano forse per attraversare i crepacci, come suggerito dalle cronache del XVII secolo che riportano che, a causa delle condizioni del ghiaccio avanzato anche in estate e dei numerosi crepacci, les passants à porter des aix pour les traverser . (2) Il mistero si approfondì con ulteriori ritrovamenti. Nella stessa zona del Giomen, infatti, erano stati rinvenuti de gros troncs de pins, enfouis dans le sol en une Iocalité où il est impossible de trouver maintenant aucune plante résineuse .(3) Questo dettaglio, insieme alle scoperte successive, suggeriva che un tempo il paesaggio fosse ben diverso da quello odierno. Nel 1891, un ulteriore scavo portò alla luce vecchie monete e una ventina di monete romane in bronzo e argento, con l’effigie degli imperatori Augusto (27 a.C.–14 d.C.) e Diocleziano (284–305 d.C.). Questi reperti, uniti ai tronchi di pino e ad altri indizi, confermarono che il Colle del Teodulo fosse anticamente un passaggio molto frequentato da viaggiatori e mercanti in transito tra Nord e Sud Europa, dunque libero dai ghiacci in ogni stagione. Non a caso, in passato il colle era conosciuto come Monservin o Mons Silvius , un nome che, prima di essere associato al solo Cervino (4.478 m), racconta di un’epoca in cui la vegetazione arrivava a sfiorare i 3.300 metri di altitudine. Foto di copertina: Il Cervino visto dal Col du Théodule. (1) Le Bien public , 22 settembre 1885. (2) P.-A. Arnod, Relation des passages de tout le circuit du Duché d’Aoste venant des provinces circonvoisines avec une sommaire descriptions des montagnes (1691 et 1694) , in "Archivum Augustanum", I, 1968, p. 55. (3) Feuille d’Aoste , 7 ottobre 1891.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 21 novembre 2024
Come si chiamava la signora di Brissogne? Un esempio del fatto che le donne tante volte restavano nell’ombra è rintracciabile nell’articolo che segue, il quale riporta il decesso di una donna a Brissogne. Questo il necrologio pubblicato il 13 novembre 1936 dal giornale Le Mont-Blanc : “Un lutto molto crudele ha appena colpito una delle famiglie più stimate di Brissogne, la famiglia del signor Bionaz Isaïe, portandogli via, dopo soli pochi giorni di malattia, la sua amata moglie e tenera madre dei loro figli. Questa umile donna valdostana era l’angelo del focolare, où ses vertus formaient le lien qui enchaînait l’affection et commandait le plus profond respect et la plus vive tendresse . Compagna intelligente e devota, madre esemplare, lo scopo della sua vita era la prosperità della sua famiglia, a cui non ha mai smesso di contribuire, fornendo al marito sostegno, impegno e incoraggiamento anche attraverso il suo affetto forte e fedele. La popolazione di Brissogne, profondamente addolorata da questa improvvisa dipartita, ha riservato alla defunta solenni funerali, ai quali hanno partecipato conoscenti provenienti da tutti i punti della Valle. Depositeremo il fiore del ricordo su questa tomba aperta troppo presto, offrendo le nostre condoglianze al signor Bionaz Isaïe, ai suoi quattro figli affranti e a tutta la parentela". Resta un dubbio: ma come si chiamava la signora Bionaz? Errore, dimenticanza o altro, sta di fatto che lo stesso giornale, una settimana dopo, corresse la sua mancanza, pubblicando i ringraziamenti dei familiari alle condoglianze e citando, finalmente, il nome della donna: si trattava di Célestine Pagel, deceduta a 69 anni. Racconto tratto dal mio libro: Donne oltre le cime. Storie al femminile in Valle d'Aosta , 2024.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 18 novembre 2024
I primi filmati girati in Valle d’Aosta Un giornale valdostano del 1911 riportava un fatto curioso: (1) “La poesia delle nostre montagne, dei nostri ghiacciai e delle nostre cascate: queste sono le bellezze che sembrano interessare i parigini. Questi sono, quindi, i soggetti che il signor Murot - venuto appositamente da Parigi per catturare immagini fotografiche del ghiacciaio del Rutor e proiettarle successivamente con il cinematografo - porterà davanti agli occhi degli spettatori della capitale francese.” Il 20 gennaio 1911, a mezzanotte, Murot partì da La Thuile per salire sul massiccio del Rutor, accompagnato dalla guida Maurice Bognier e dai portatori Joseph Vauterin e Sylvain Jammaron. Alla spedizione si unirono anche una trentina di soldati sciatori, coordinati dal tenente Gatto-Roissard, dal sottotenente Naya, da un medico militare e dalla guida Joseph Petigax di Courmayeur. Quando il gruppo raggiunse il rifugio Santa Margherita (2.465 m), erano le sei del mattino. A mezzogiorno arrivarono alla capanna Défey (3.370 m). Il giornale che documentò l’ascensione riportò: “Tempo splendido, sole magnifico, nessun vento. Il signor Murot ha potuto fotografare le meraviglie dell’immenso ghiacciaio nelle condizioni migliori. I soldati si sono potuti dedicare liberamente agli esercizi sugli sci e alle manovre”. La cronaca si chiuse con una riflessione: “Questo accadeva il 20 gennaio 1911: un evento interessante per la storia dell’alpinismo”. (2) Non si sa quali immagini siano state selezionate per il montaggio cinematografico, né quali testi o sottotitoli siano stati scelti da Murot o dai suoi collaboratori. Purtroppo, non sono emerse tracce documentarie di quest’opera o dello stesso Murot. Tuttavia, il risultato dovrebbe essere considerato tra i primi filmati girati in Valle d’Aosta. Prima di allora, va ricordata la figura di Arrigo Frusta (1875-1965). Nel dicembre del 1910, quest’ultimo si spinse con la macchina da presa a 4.000 metri di altezza sul Monte Bianco, realizzandovi tre documentari, tra i primissimi d’alta montagna nella storia del cinema: Da Courmayeur al Colle del Gigante, Escursioni sulla catena del Monte Bianco” e, nel 1911, “Sulle dentate scintillanti vette” . (3) Questi documentari, dedicati all’alpinismo, furono distribuiti in Francia, Austria-Ungheria, Germania e Gran Bretagna, contribuendo a diffondere l’immagine delle Alpi valdostane in tutta Europa. (1) Le Duché d’Aoste , 1° febbraio 1911. (2) Temps superbe, soleil splendide, point de vent. M. Murot put photographier les splendeurs de l’immense glacier dans les conditions les plus avantageuses. Les soldats purent se livrer à souhait aux exercices du ski et des jarrets . (3) Centro Studi Piemontesi, Fondo Archivistico “Arrigo Frusta” - giornalista, scrittore, attore e sceneggiatore cinematografico - (1740-2015), Inventario Andrea Maria Ludovici, Novembre 2017, p. 8.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 14 novembre 2024
Piccole storie semplici, aneddoti, fatti curiosi... Un asino della val d’Ayas in fuga Il periodico Le Mont-Blanc del 19 dicembre 1913 pubblicò una storia singolare, avvenuta ai piedi dell’imponente massiccio del Monte Rosa (4.634 m). Un certo N. J., mentre saliva da Brusson verso l’alta valle con un asino carico di cereali, si trovò a fronteggiare un evento inaspettato: improvvisamente l’asino decise di abbandonarlo, fuggendo via con tutto il carico; on assure que la pauvre bête portait une charge de 100 kilos!! Il conducente, disorientato, fece di tutto per rintracciarlo, ma senza successo. Nemmeno il passaparola nei comuni vicini, attivato appena l’uomo realizzò la situazione e cercò aiuto, portò a risultati. Ormai, tutto sembrava perduto. Il padrone poteva solo immaginare che l’animale fosse morto, forse caduto da qualche parte con l’intero carico prezioso. Fu solo dopo ben otto giorni che l’asino fu ritrovato. Brucava tranquillo nei boschi della zona del Col de Joux (1.640 m), ancora con tutto il carico di cereali sulla schiena... come se nulla fosse accaduto. Il motivo di quella fuga improvvisa rimase un mistero. Forse l’asino era stato spaventato da qualche animale o...
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 11 novembre 2024
La più alta panetteria d’Europa... tra i sassi Un giornale valdostano pubblicò un curioso articolo intitolato: “La più alta panetteria d’Europa”. Nel 1898, gli imprenditori Charles e i fratelli Bianchi di Aosta erano impegnati a realizzare una nuova costruzione al Gran San Bernardo. Dovendo fornire cibo a una legione di lavoratori, circa un centinaio, ebbero l’ingegnosa idea di costruire un forno per il pane a quell’altitudine, ovvero 2.472 metri sul livello del mare. Il loro progetto incontrò subito diversi ostacoli da parte di coloro che lo ritenevano impraticabile a causa della qualità dell’acqua, che provenendo direttamente dalla fusione delle nevi risultava povera di minerali. Non solo. I detrattori ritenevano che la rarefazione dell’aria in quella regione alpina avrebbe rappresentato un problema. Tuttavia, tutte quelle incertezze sparirono presto e si trasformarono in consenso. Il pane, infatti, risultò eccellente, e a sorprendere ulteriormente fu la varietà dei prodotti che il panettiere riuscì a realizzare: grissins” très friands , oltre a torcetti e gâteaux dal gusto squisito. Alcuni assaggi, portati a Martigny e altrove, furono apprezzati dalle bocche più esigenti. Ad Aosta furono accolti con entusiasmo tanto quanto in Vallese. Gli imprenditori Bianchi introdussero anche un’altra importante innovazione. Poiché al Gran San Bernardo la scarsità di sabbia è sempre stato un problema per chiunque abbia cercato di costruire edifici di una certa importanza, decisero di risolverlo acquistando in Svizzera una macchina per macinare le pietre, investendo una somma considerevole. Questo apparecchio, che un giornale del 1898 riportava come en voie de placement et ne tardera pas à fonctionner , era azionato da un motore a gas alimentato a petrolio, che allora costava solo 20 centesimi al litro, e poteva produrre fino a 12 metri cubi di sabbia al giorno. L’ingegno umano, quando... alimentato.... dalla necessità, è senza limiti. (1) Le Duché d’Aoste , 19 luglio 1898.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 31 ottobre 2024
La “rivolta” di Cogne e la distruzione del monumento ai caduti Questa storia risale al 1921, quando la comunità di Cogne, seguendo l’esempio di molti altri comuni valdostani, decise di erigere un monumento in memoria dei caduti della Prima guerra mondiale. Un progetto nobile e sentito che portò all’organizzazione di un ballo di beneficenza aperto a tutti, un evento che, però, prese una piega inaspettata. La festa danzante, organizzata il 1° febbraio, giorno del patrono Sant’Orso, prevedeva che il ricavato fosse destinato alla costruzione di un monumento per onorare i 18 soldati del paese caduti per la patria e che non tornarono di quegli oltre 250 partiti in guerra. (1) In uno spirito di inclusione, gli inviti furono diffusi non solo in francese, lingua tradizionale della Valle d’Aosta, ma anche in italiano, (2) per assicurarsi che persino i minatori non valdostani si sentissero i benvenuti. Tuttavia, come spesso accade, una serata pensata per unire la comunità finì per creare divisioni. Sul finire del ballo, due uomini furono sorpresi dai controllori di sala: erano entrati senza pagare il biglietto. Quei due individui, entrambi veterani di guerra tornati da poco dall’estero, non presero bene l’ammonimento. Al contrario, si mostrarono ostili e pronunciarono parole di disprezzo nei confronti degli organizzatori. La situazione degenerò ulteriormente quando un fratello dei due, forse complice l’alcol e la confusione, intervenne con violenza, sferrando schiaffi sia a un consigliere comunale, sia a un carabiniere, che aveva tentato, revolver au poing , di calmare gli animi (3) in quella che un giornale definì una Révolte?!!! (4) L’intervento del maresciallo dei carabinieri fu immediato, ma la tensione era ormai alle stelle. Alcuni giovani del paese, ignari delle dinamiche che avevano scatenato il disordine, decisero di opporsi all’arresto del principale responsabile all’interno della sala da ballo. Di fronte alla resistenza della folla, il maresciallo scelse di non insistere e la serata si concluse in una calma apparente. Ma la quiete fu di breve durata. Il giorno successivo, il 2 febbraio, mentre un’altra serata si animava nella sala da ballo, una squadra di carabinieri, guidata da un tenente giunto appositamente da Aosta a bordo di un camion della Società Ansaldo, fece irruzione nel locale. Scelsero una dozzina di giovani, sospettati di essere tra i principali difensori del colpevole della sera precedente, e li condussero via. Nel frattempo, il principale responsabile e uno dei suoi accompagnatori riuscirono a dileguarsi, mentre gli altri furono trasferiti ad Aosta per essere interrogati. Un giornale concluse che l’indagine aveva rivelato che si trattava solo di un ballon gonflé (un’esagerazione). Tutti gli imputati furono rilasciati su cauzione qualche giorno dopo, e il processo che si tenne successivamente non portò a risultati significativi. (5) Al di là di quei fatti, il monumento fu comunque realizzato, posato e inaugurato nel 1922 presso il municipio, ma successivamente fu demolito dai fascisti durante l’ultima guerra . (6) L’accanimento nei suoi confronti era probabilmente legato all’uso del francese sulla lapide e al processo di italianizzazione forzata, intensificatosi a partire dalla fine degli anni Trenta. Successivamente, ne fu realizzato uno nuovo con l’iscrizione: COGNE AI SUOI CADUTI . A distanza di quei giorni agitati, una nuova lapide dedicata ai caduti delle due guerre mondiali e della Resistenza partigiana, (7) dal 4 novembre 1966, si erge in piazza, accanto alla fontana in ferro, di fronte all’imponente catena del Gran Paradiso, componendo un altare della patria. (8) Fu opera dell’artista valdostano, il professor Rolando Robino, ed è un monito silenzioso che ricorda non solo i sacrifici di guerra, ma anche la fragilità della pace. (1) Era stata aperta anche una sottoscrizione riservata ai cogneins che abitavano a Parigi e in altre aree della Francia. La Vallée d’Aoste , 29 ottobre 1921. (2) Le Duché d’Aoste , 9 febbraio 1921. (3) L’Echo de la Vallée d’Aoste , 19 febbraio 1921. (4) La Doire , 18 febbraio 1921. (5) La Doire , 18 febbraio 1921. (6) Il Lavoro , 10 novembre 1966. (7) Giorgio Elter (1924-1944) fu partigiano della 87a Brigata autonoma, Banda Arturo Verraz, dal 10 agosto 1944. Perse la vita in combattimento durante un’azione al Pont-Suaz (Charvensod) il 6 settembre 1944. Alla sua memoria è stata conferita la Medaglia d’argento al valor militare; ad Aosta (Quartiere Cogne) una via porta il suo nome. (8) Nella zona di fronte al cimitero di Cogne, il 12 novembre 1945 fu innalzato un monumento - una croce in marmo bianco - dedicato alla memoria dei dieci partigiani della banda Arturo Verraz, con base operativa a Cogne, che sacrificarono la vita per la Libertà. Accanto al monumento, il 27 settembre 1964 fu posizionata una pietra commemorativa su cui è inciso: 1943-1945 Assassinés par les nazifascistes (“Assassinati dai nazifascisti”).
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 26 ottobre 2024
Cogne: un interessante disegno di oltre 600 anni fa Durante la consultazione di un documento del 1408 (1) negli archivi storici del Comune di Cogne – una ricognizione feudale relativa ai beni presenti nel territorio di Epinel– ho notato un disegno interessante in un capolettera di un manoscritto. La figura rappresentata, ispirata sicuramente alla realtà di allora, mostra uno spaccato di come i contadini si vestissero a Cogne tra Trecento e Quattrocento, offrendoci una testimonianza vivida della cultura e della moda locale. Questo semplice disegno medievale apre a ipotesi affascinanti. Sebbene la figura, per via dei pantaloni, sembri probabilmente un uomo, la stilizzazione dell’immagine lascia spazio a interpretazioni. Alcuni dettagli, come la cuffia, potrebbero suggerire una figura femminile che, sotto una gonna corta o risvoltata, lasci vedere dei calzoni. Si tratta di pura ipotesi, forse persino una forzatura, ma alcuni elementi mi fanno pensare a una somiglianza con il costume femminile odierno. Curiosamente, infatti, il disegno accenna a un dettaglio che potrebbe rappresentare la crôppa , il caratteristico rigonfiamento posteriore della gonna nel costume femminile attuale – il gouné – reso nel manoscritto con un triangolo evidente alla base della schiena. Questo dettaglio sembra distinguersi da una semplice svasatura a campana, che appare anche sul davanti dell’abito, sebbene in modo meno marcato. Una lunga fila di bottoni, caratteristica comune in molti indumenti femminili dell’epoca, attraversa la parte anteriore dell’abito, chiudendolo con eleganza e praticità. Questo particolare, ben visibile nel disegno, riflette lo stile medievale e rappresenta un elemento funzionale che, sebbene oggi assente nel costume tradizionale, richiama una certa attenzione all’ornamento e alla praticità tipica dell’epoca. La figura indossa una cuffia, forse un’antica versione della couéifie , che si presenta ampia e arrotondata, che ricorda un po’ una delle cuffie raffigurate nelle lunette del castello di Issogne e in altre iconografie medievali. Dalla cuffia spuntano quattro piccoli cerchi, forse una treccia ben raccolta. Ai piedi sono visibili zoccoli (detti sôtse ) o scarpe leggermente appuntite, calzature che, pur appartenendo a un design antico, richiamano uno stile ancora presente nel costume tradizionale attuale. Insomma, questo semplice disegno medievale suggerisce ipotesi curiose e lascia immaginare che il gouné potesse avere già una forma embrionale oltre sei secoli fa, evolvendosi e arricchendosi di dettagli più raffinati, come i pizzi al tombolo, solo a partire dall’Ottocento. Probabilmente, la mia è solo un’ipotesi; anche se nel disegno non si ravvisasse un progenitore del costume attuale, la figura offre comunque uno spaccato locale della vita contadina dell’epoca. (1) Archivio Storico del Comune di Cogne, faldone 1-15, Reconnaissance datata 5 aprile 1408.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 17 ottobre 2024
Cogne e la scuola... reale... Nel 1890, il comune di Cogne, grazie a un sussidio del Re e della Provincia di Torino, si apprestava a completare la costruzione di una nuova scuola. Il contributo statale, pari a 5.800 lire su un costo complessivo di 22.000, risultava non solo insufficiente, poiché non rispettava le leggi vigenti che prevedevano la copertura di un terzo della spesa, (1) ma era anche oggetto di critiche e problemi. Il sito prescelto per l’edificio era un vasto prato vicino al centro del paese. Tuttavia, iniziarono presto a emergere le prime lamentele. Invece di sfruttare al meglio lo spazio disponibile, l’edificio venne collocato troppo vicino a una vecchia casa rustica in legno, le cui pareti erano ricoperte di letame ( dont les parois en bois, toutes calfeutrées de fumier ), un dettaglio che molti ritenevano poco decoroso, specialmente considerando che sull’ingresso principale della nuova scuola sarebbero stati esposti gli stemmi reali. L’edificio era stato progettato non solo per ospitare le scuole, ma anche per fungere da palais communal , con la sala consiliare e la segreteria situate al primo piano. Tuttavia, la porta principale, che avrebbe dovuto costituire l’accesso principale alla nuova istituzione, conduceva in realtà direttamente al locale destinato alla pompa antincendio e a due sale la cui destinazione non era stata definita. Questi dettagli suscitarono perplessità, sia tra i cittadini, sia sulla stampa. Un certo A. R. X., come si firmava uno scrivente in un giornale locale, dichiarava di non voler entrare nei dettagli del plan primitif de cette construction qui était encore plus ridicule que celui exécuté , (2) così come non commentava l’organizzazione degli spazi o il rispetto delle norme igieniche. (3) Le critiche più accese furono rivolte a uno degli amministratori locali, accusato di aver esercitato un’influenza eccessiva, tanto da essere definito l’ homme universel . Si diceva che avesse diretto i lavori e ideato personalmente una targa in marmo - en “italien” -, descritta come somptueuse et mirifique , che fece collocare non all’ingresso della scuola, bensì su quello della pompa antincendio: “In memoria di S.M. Umberto I...”. La scelta della lingua italiana provocò un acceso dibattito, tanto che un giornale reagì come se tout ce qui se fait en français est mauvais, honteux, antipatriotique . (4) Nonostante le critiche, l’edificio divenne un importante punto di riferimento per la vita comunale, ospitando sia la scuola che le istituzioni civiche. Nel 1965 l’edificio lasciò spazio a una nuova e più moderna Maison Communale , ristrutturata tra il 2023 e il 2024; le nuove scuole, invece, furono trasferite in una nuova struttura inaugurata nel 1964 e ristrutturata tra il 2024 e il 2025. Immagine di copertina: alunni della scuola di Cogne tra le due guerre. (1) Feuille d’Aoste , 20 agosto 1890. (2) (...) “del progetto primitivo di questa costruzione, che era ancora più ridicolo di quello eseguito”. (3) Feuille d’Aoste , 4 settembre 1890. (4) Le Valdôtain , 7 maggio 1890.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 3 ottobre 2024
La leggenda del drago di Loo Nella valle del Lys esiste una leggenda secondo cui un gruppo di abitanti, desiderosi di espandere i pascoli della zona, decise di esplorare il vallone di Loo. La regione era coperta da una densa boscaglia, così gli uomini iniziarono a abbattere gli alberi. Mentre lavoravano, udirono uno strano suono proveniente da lontano: un potente drago minaccioso. Spaventati, i pastori abbandonarono il loro lavoro di disboscamento e fuggirono giù per la valle, cercando sia di salvarsi, sia di trovare un modo per sconfiggere la creatura. Molti si offrirono volontari e tentarono, ma nessuno riuscì nell’impresa. La posta in gioco era alta: non solo l’eroismo di uccidere una tale mostruosità, ma anche la prospettiva di poter sfruttare le nuove terre. Secondo la tradizione, sette uomini provenienti dai villaggi di Loomatto e di Champsil (Gressoney-Saint-Jean), riuscirono nell’ardua impresa. Con astuzia, conoscendo la voracità del drago, decisero di ingrassare un bue. Dopo molto tempo, portarono l’animale all’imbocco del vallone, avendo precedentemente ricoperto le sue corna di ferro e lame affilate, e lo lasciarono vagare liberamente. Il drago non si fece pregare e lo mangiò senza esitazione. La bestia morì dopo atroci sofferenze, e finalmente i pascoli furono liberati. I sette uomini poterono così godere delle nuove terre per il loro uso e consumo. Questa storia riflette probabilmente le particolarità di un periodo in cui, durante la fase finale del raffreddamento climatico, le nevi si ritiravano, rivelando radure e nuove aree di pascolo. Fu in questo contesto che le popolazioni locali si impegnarono per recuperare ciò che la natura aveva loro tolto tanto tempo prima. Probabilmente il periodo potrebbe essere quello appartenente al secondo Medioevo, quando la valle del Lys e altre aree intorno al Monte Rosa dal XIII secolo furono raggiunte da colonie Walser che occuparono e sfruttarono al meglio quelle regioni. Non diversamente accadeva a Cogne con coloni provenienti dalle vicine valli piemontesi dell’Orco e di Soana. Un documento del 1206 attesta, inoltre, che in estate i cogneins , attraverso il Colle di Teleccio (3.304 m), conducevano le loro mandrie all’alpeggio di Ondezana nel vallone del Piantonetto, in Piemonte, di loro proprietà. Tuttavia ancora oggi non è più raggiungibile a causa dello sbarramento dei ghiacciai. Il clima più rigido registrato nei secoli successivi indusse, nel 1751, i cogneins ad aprire una vertenza contro la Comunità di Locana, che intendeva iscrivere nei suoi registri catastali il territorio dei pascoli di Ondezana, da loro ridenominato Teleccio. La comunità di Cogne, invece, rivendicava il possesso, anche se non riusciva più a raggiungerlo facilmente. Per questo motivo, perse la vertenza e il territorio le fu tolto. (1) Immagine di copertina: Drago, particolare (1460). Fonte: Lambert de St Omer, Public domain, via Wikimedia Commons . (1) Archivio Notarile Distrettuale di Aosta, Tappa di Aosta, notaio Perret, volume 2781, anno 1751.
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