Il 28 febbraio 1536 e il francese in Valle d’Aosta
Il 28 febbraio 1536 la Valle d’Aosta
iniziò un percorso politico-amministrativo particolare che, per quasi un quarto di secolo, la vide agire sullo scacchiere europeo come un vero e proprio Stato.
In uno scenario così complesso di guerre ed invasioni, e dove lo Stato sabaudo fu occupato dai francesi, essa si dichiarò Pays de neutralité
organizzandosi a sopravvivere da sola a quei tragici eventi.
Quelle decisioni difficili e di responsabilità furono verbalizzate per la prima volta in francese; scelta che precedette di tre anni la Francia stessa
che, infatti, quell’idioma lo impiegò negli atti pubblici a partire dal 1539.
I Savoia, ritornati poi al controllo dei loro domini, nel 1561 riconobbero il francese quale lingua ufficiale dei valdostani; data, quest’ultima, da molti considerata fondamentale, forse dimenticando che - come detto - è il 1536
a essere quella importante; infatti, in quel 1561 i duchi sabaudi non poterono far altro che prendere atto della libera scelta dei valdostani avvenuta 25 anni prima...
Idioma francese che ha poi progressivamente accompagnato la vita quotidiana locale fino al Fascismo. Tutto ciò, malgrado i numerosi tentativi messi in atto nel corso dell’Ottocento dalle intellighènzie
di Stato - e, talvolta, anche da qualcuna valdostana - tese a cercare d’italianizzare la Valle d’Aosta.
Con la Repubblica italiana e il riconoscimento della Regione autonoma valdostana
è apparso sulla scena locale il bilinguismo ufficiale francese-italiano
come soluzione alla frattura linguistica indotta ad arte dalla dittatura mussoliniana.
Un’idea ottima e arricchente, quella della parificazione delle lingue che, però, non ha equilibrato per nulla la situazione linguistica, anzi.
Il bilinguismo ufficiale - che potrebbe essere un eccellente strumento culturale (e non solo) - è stato trasformato fin da subito in un elemento inefficace e talvolta utilizzato ad uso esclusivo della politica che ha costretto il francese a divenire un simulacro divisivo; mentre il francoprovenzale
non ha potuto spiccare il salto per una giusta ascesa a diventare anch’esso vera lingua strumentale.
Come si suol dire, la montagna ha partorito il topolino.
Ciò è accaduto nel momento in cui è stato scelto di confinare il francese ad un determinato monte ore a scuola o come requisito di accesso ai concorsi pubblici. Entrambe situazioni che hanno fatto nascere nell’opinione pubblica valdostana la sensazione di “imposizione” e di “obbligo”, qualificando il francese come fosse una “lingua straniera“ o “inutile”, “anacronistica”, un ostacolo; certamente “obbligatoria”, dunque malvista.
Il francese, invece, avrebbe dovuto inondare, al pari dell’italiano, la vita pubblica.
E’ ora di cambiare verso.
Se è vero che il francese
resta ancora l’espressione di parte della cultura, che il francoprovenzale
è lingua della tradizione e che l’italiano
è l’idioma veicolare e popolare, allora rafforziamo degnamente questo nostro trilinguismo
in una nuova e avvincente complementarità.
Ma facciamolo in modo più strategico, cioè accompagnando tutti e tre i nostri idiomi a concorrere parimenti e vivacemente alla crescita della nostra società
in tutti i settori.
Facciamoli interfacciare veramente tra loro, questi linguaggi, come espressione della nostra quotidianità e, soprattutto, dell’essenza, della singolarità della nostra comunità.
Ad oggi, infatti, stata persa la capacità di una visione d’insieme su questi aspetti, distanza che ha reso difficile la costruzione di una comunità coesa; abitanti che di queste tre lingue vedono perlopiù divaricazione.
La politica, con le sue logiche di palazzo, è stata la prima a non aver saputo intercettare fin da subito la sfida: non è stata cioè in grado di capire e valorizzare un sistema sociale composito qual è quello valdostano; mosaico che avrebbe potuto trovare, per l’appunto, una arricchente omogeneità d’insieme pur nel rispetto delle sue complesse (e talvolta anche profonde) differenze.
In mezzo alle molteplici sfaccettature e diversità che ci contraddistinguono, dovremmo cercare di ripartire tutti insieme dalla ricostruzione di un senso identitario utile a definire la nostra comunità.
Ritrovare, dunque e presto, una nostra sintesi... anche, e soprattutto, plurilinguistica... e magari ricordare e celebrare anche questa data come uno dei capisaldi del nostro essere.
Altre comunità in un giorno simile ci avrebbero costruito intorno un vanto,
noi, invece, lo dimentichiamo
e tutti gli altri giorni dell'anno del francese ne facciamo un pianto...