La Valle d’Aosta "tifava" Italia?
Dopo il crollo dell’impero napoleonico, il ricostituito Regno di Sardegna organizzò un generale riordino amministrativo che non sempre seppe valorizzare l’autonomia dei suoi territori.(1)
Per esempio la Valle d’Aosta, che nel 1818 era stata costituita come “Divisione” (forma amministrativa più alta data ad un territorio e quasi assimilabile alla veste delle odierne regioni italiane), ma che nel 1848 fu poi declassata a provincia all’interno della Divisione Torino.
A tale proposito, sulla Feuille d’Annonces
d’Aoste
del 30 aprile 1849 veniva chiesto quale fosse il senso del termine “Stati Sardi” se non voler enunciare la presenza di un insieme di nazioni, tra cui la Valle d’Aosta. Quest’ultima - qui forme une province, qui a des liens communs, des intérêts particuliers, des habitants propres et qui fut toujours une société distincte des autres pays par son origine, son caractère, ses moeurs, ses besoins, ses usages et sa langue
- doveva, dunque, considerarsi una nazione, uno Stato.
Forte di tali premesse, nel 1856 il Consiglio comunale di Aosta chiese al Governo sardo che con il nuovo progetto di legge sul riordino della ripartizione territoriale dello Stato in discussione in quegli anni venissero mantenuti gli attuali confini della provincia d’Aosta e fosse attribuita ad essa una giurisdizione amministrativa particolare, ossia indipendente da tutte le altre province.(2)
Queste istanze non solo non vennero accolte, ma furono deluse da un evolversi in senso opposto degli eventi; con la riforma Rattazzi del 1859, infatti, la provincia di Aosta fu addirittura cancellata e il territorio valdostano fu trasformato in semplice “circondario” di quella di Torino.
Dunque, nell’immediata vigilia dell’Unità d’Italia (17 marzo 1861), la Valle d’Aosta non solamente restava l’unica terra francofona del nuovo regno, ma perdeva anche l’ultimo tassello del suo antico status di autonomia amministrativa.
In una delibera del 22 maggio 1861 il Comune di Aosta - che perseverava nel farsi portavoce delle istanze degli abitanti della regione - chiese al Ministero dell’Interno che nella riorganizzazione del neonato Regno d’Italia si tenesse in debito conto della “questione valdostana” come une question de vie ou de mort, de la quelle dépendent sa vitalité et sa prospérité.(3)
Ma a nulla valsero quelle rivendicazioni, poiché in continuità con l’amministrazione precedente, anche all’interno del nuovo Regno italiano continuava ad essere mal sopportato l’uso della lingua francese e la particolarità valdostana; il nuovo Stato, costruito più “sulla carta” piuttosto che in base ad una reale comunanza tra le genti, era interessato a portare avanti un’opera di uniformazione in tutti i settori possibili e non certo a salvaguardare differenze etniche e particolarismi locali, che in quei frangenti mal si conciliavano con il tentativo di trasformare l’idea di nazione italiana dalla carta alla realtà.
L’abolizione della provincia valdostana, tra le altre cose, aveva fatto perdere alla città il diritto di continuare ad avere la sede di un liceo, tipologia di scuola assai importante per la formazione delle nuove generazioni. La futura classe dirigente sarebbe, così, stata costretta ad emigrare fuori Valle per completare gli studi, che venivano impartiti ovviamente solo in lingua italiana.
Tra i rappresentanti locali e il Governo italiano si aprì così un aspro fronte di contenziosi tali da far intervenire il re Vittorio Emanuele II di Savoia, che nell’ottobre del 1862 cassò i provvedimenti lasciando Aosta sede di Liceo (però, per 2/3 a spese del Comune) e ripristinando il francese come lingua strumentale nel Ginnasio nell’intento di conciliare le esigenze della pubblica Istruzione colle condizioni speciali in cui trovasi la maggior parte del Circondario stesso.(4)
Nulla è innovato
- decretò il Re - per quanto concerne il patrimonio particolare delle Scuole d’Aosta, ma malgrado ciò la situazione, soprattutto linguistica, non si normalizzò, anzi: la lingua italiana fu introdotta progressivamente nella didattica.
Con il tempo il processo d’italianizzazione e della perduta autonomia generò incomprensioni e proteste provocando anche talvolta pericolose tensioni e ciò fin dai primi mesi del nuovo Regno.
Nel febbraio del 1862, infatti, il Sottoprefetto di Aosta scrisse ai sindaci valdostani una lettera confidenziale - écrite en italien; que nos syndics ignorent, pour la plupart, cette langue
- relativamente all’esistenza di un parti hostile au gouvernement.
Alla missiva - considerato che la lingua italiana n’est pour nous ni littéraire, ni officielle
- decise di rispondere il giornale Feuille d’Aoste
dell’11 febbraio di quell’anno confermando al funzionario governativo che: Oui, Monsieur le Sous-Préfet, il est vrai l’alarme se repand dans nos communes.
On avait dit aux Valdôtains: Une ère de bonheur va commencer pour tous, réjouissez-vous! On ouvrira vos routes; on vous aidera à dompter ces eaux qui dévorent vos plaines; par des chemins de fer, on vous rapprochera des centres où affluent Ies richesses, on encouragera votre industrie, on rendra à votre province son autonomie.
"On"... ma in realtà per molte di quelle promesse - se non per quasi tutte - si dovettero attendere decine di anni prima di veder muovere le cose.
Frattanto, dal lato occidentale delle Alpi, in quel periodo di transizione che portò alla nascita del Regno d’Italia, il conte Ernest de Boigne (1829-1895),(5)
parlando al parlamento francese, dichiarò che la cattolica e francofona Savoia non poteva più continuare a rimanere insieme al Piemonte, più interessato a guardare alla penisola italiana e in guerra contro il Papato.
A quelle riflessioni gli fece eco il giornale valdostano L’Indépendant
che, in maniera profetica, chiosò a quelle dichiarazioni con: “Les lois centralisatrices, les lois italiennes, la guerre faite à l’Eglise”: voilà ce qui froisse aussi profondément le Val-d’Aoste et l’empêche d’accorder ses sympathies à la cause italienne.
Ce qui est plus douloureux encore, c’est que nous ne sommes pas encore au bout de nos sacrifices, et que notre jadis Duché est peut-être à la veille de subir des bouleversements si radicaux qu’il deviendra méconnaissable.(6)
In conclusione non si può non sottolineare che - benché qualsiasi modificazione territoriale nella storia sia quasi sempre fatta sulla base del volere (e degli interessi) delle élites
e a prescindere dalla volontà popolare - è evidente che la transizione verso il Regno d’Italia della Valle d’Aosta non sia avvenuta in maniera indolore e concorde...
(1) Fonte del testo: M. Caniggia Nicolotti e L. Poggianti, Idee, aspirazioni e percorso di autogoverno valdostano. La lungimiranza di un piccolo popolo, pp. 40-44. (2) Archivio della Camera Regia (1848-1943, 6029, busta 10, 19-01-1856). (3) G. Cuaz Bonis, Il Comune di Aosta dall’Unità al XIX secolo, in T. Omezzoli (a cura di), Il Comune di Aosta. Figure, istituzione, eventi in sei secoli di storia, p. 299. (4) Regio Decreto n. 938, relativo all’ordinamento degli studi secondari della città d’Aosta, 30 ottobre 1862; proprietà M. Caniggia Nicolotti. (5) Savoiardo, fu deputato al Parlamento subalpino e, dopo la cessione della Savoia alla Francia nel 1860 (progetto di cui fu fautore), ricoprì anche la carica parlamentare durante il Secondo Impero francese (1852-1870). (6) L’Indépendant, 29 marzo 1861.