Lo spirito di comunità germoglia nell’idea di territorio
Dopo la caduta del Fascismo e l’Armistizio (8 settembre 1943), i rappresentanti delle popolazioni delle valli alpine si trovarono a Chivasso (Torino) il 19 dicembre 1943 per progettare il futuro amministrativo e l’autonomia dei loro territori nell’ambito di un sistema politico italiano federale di tipo cantonale.
In sostanza chiedevano al prossimo Stato italiano di voler riconoscere il loro diritto a costituirsi come entità autonome, garantire l’utilizzo delle loro lingue e assicurare loro delle misure in grado di sostenere lo sviluppo economico.
Alla riunione parteciparono anche i valdostani Emile Chanoux ed Ernest Page; Federico Chabod, invece, inviò un documento, mentre Lino Binel, purtroppo, era detenuto in prigione.
Erano momenti, quelli, in cui i dubbi sul futuro della Valle d’Aosta erano tanti, soprattutto se si tiene conto che poco prima dell’Armistizio molte radio estere avevano annunciato che, tra le clausole imposte all’Italia, vi sarebbe stata la cessione della Valle d’Aosta alla Francia.
La “Questione valdostana”, dunque, esplose in tutta la sua forza con posizioni di pensiero differenti, che andavano dall’autonomia all’indipendenza, passando per l’annessione ad altri Paesi. Situazione non chiara che veniva letta con difficoltà, ma anche con grande interesse, all’estero, tanto da diventare un caso internazionale che portò alle basi dell’attuale forma di autonomia (1948).
Altri tempi, altri uomini, grandi idee.
Oggi, invece, abbiamo perfino perduto sia il concetto di comunità valdostana, sia i valori legati alla nostra ancestrale capacità di autogoverno e al nostro particolarismo anche linguistico.
Siamo arrivati al punto che il nostro antico idioma, il francese, nella stessa Valle d'Aosta sia scambiato per una lingua straniera:
"lingua d'oltralpe", "lingua di Molière"... così afferma qualcuno...
Altri ancora credono che sia "obbligatoria" e che la usiamo perché ci troviamo al confine; e che oggi andrebbe "sostituita con l'inglese, molto più commerciale e internazionale"; "nella sanità non serve; i turisti francofoni non sono la maggioranza degli ospiti"...
Come si può mercificare una lingua? Dimenticare che il nostro francese nulla ha a che vedere con la Francia o la Svizzera?... O con il turismo...
Nel 1536 - ossia tre anni prima della Francia - il Ducato di Aosta fu la prima amministrazione ad adottare il francese come lingua ufficiale negli atti pubblici. Lingua utilizzata ininterrottamente per 400 anni, poi stoppata dell'italianizzazione indotta dal fascismo; con il sistema bilingue si è poi tentato di riacchiapparla, ma...
Grazie al francese, dopo la dittatura la Valle d'Aosta è riuscita a strappare alla Repubblica una forma di autonomia... che - ricordiamolo a qualcuno - è incernierata in un insieme di particolarità che in molti hanno dimenticato o, peggio, non hanno mai appreso.
Per carità, qui non si tratta di amoreggiare nostalgicamente con ciò che eravamo un tempo o con l'auspicio di un improbabile ritorno al passato. L'invito sta nel prospettare un nuovo modello valdostano per continuare ad esistere, ad essere qualcosa nel mondo; attualizzare ciò che siamo stati un tempo con ciò che potremmo essere. Insomma, a non essere completamente omologati, totalmente inghiottiti da una globalizzazione che ci ha già addentato da tempo.
Perdere l'identità è rischiare, per esempio, di diventare o una provincia del Piemonte o di una super-regione; una di quelle che ogni tanto balza fuori da qualche pensatoio e che ci vorrebbe nascondere in un suo angolino.
Quel 19 dicembre 1943, dunque, potrebbe essere di nuovo oggi.