Nel 1948, infatti, Bréan volle commemorarlo pubblicando sulle pagine del periodico Les Alpes, rivista ufficiale del Club Alpino Svizzero, alcuni interessanti aneddoti su Henry.
Il canonico, in quelle righe, rammentava - tra le altre cose - come nel 1938, quando era viceparroco alla Cattedrale di Aosta, mentre con un amico stava transitando nei pressi di Porta Palazzo a Torino, incontrò l’abbé
Henry chaussé de gros soulier de montagne, tenant en main une canne rustique, portant une soutane presque elimée, il s’en allait tranquillement devant nous, en fumant la pipe.(2)
I due religiosi ebbero un breve colloquio, poi ciascuno tornò sui propri passi.
Fu allora che l’amico, rimasto in disparte, domandò chi fosse quel prete: c’est l’abbé Henry, fu l’immediata risposta di Bréan. Que dites-vous? L’abbé Henry? Le curé de Valpelline? Le fameux alpiniste?
Domandò, incredulo, l’amico che non riusciva a immagine come un personaggio di quell’importanza fosse così à la bonne.
In effetti, Henry - ottimo sacerdote, naturalista emerito, apprezzato storico-divulgatore, scrittore molto originale e soprattutto celebre alpinista - era circondato da grande fama e autorevolezza.
Bréan riteneva, e non a torto, qu’il n’y a pas en Vallée d’Aoste montagne ou col de quelque importance, où l’abbé Henry n’ait mis le pied.
Il suo, però, era un alpinismo diverso. Non era, cioè, da lui inteso come un exercice de muscles, una prova di forza, di vanità o, peggio ancora, un atto che potesse mettere in pericolo la vita. No: il suo salire in vetta era fatto per fortificare lo spirito, per elevare l’anima a Dio e per godere del Creato.
Non a caso, per l’abbé
Henry, le sue escursioni, fossero solitarie o in compagnia, avevano sempre per obiettivo una particolarità del mondo alpestre da chiarire o una questione scientifica da risolvere: trasferì le sue impressioni e le sue scoperte in relazioni di piacevole lettura, in uno stile limpido e senza retorica, che attestano una preparazione culturale non comune. Ai suoi scritti siamo debitori di pagine tra le più fresche e divertenti della letteratura alpina.(3)
Certamente, tra queste ultime, vi sono quelle che raccontano dell’asino Cagliostro che nel luglio del 1931 sarebbe stato da lui condotto fino in vetta al Gran Paradiso. Operazione - chiarì lo stesso Henry - per indurre tutti a salire al Gran Paradiso e per provare che tutti possono arrivare sulla sua cima.(4)
Il suo abito talare liso, logoro, diventò quasi leggendario. Henry sosteneva che una persona elegante rischiava di pagare di più i servizi. Un giorno, infatti, scendendo dalla diligenza a Châtillon assieme all’abbé
Gontier (vestito in maniera elegante), il vetturino gli disse: Kiel ca l’è guida mac des solds, cinque franchi per il signore;(5)
"Lei che è la guida solo dieci soldi, cinque franchi per il signore".
Morì a Valpelline il 26 novembre 1947 dove fu parroco dal 1903 al 1947.
Un giorno scrisse: Voglio essere sepolto con i due miei inseparabili compagni; la piccozza e il breviario. Con la prima busserò alla porta del Paradiso, col secondo mi farò riservare un angolino dietro la porta.
A tale proposito, Umberto Pelazza chiosò: Forse per tirar fuori la pipa di nascosto da San Pietro. Neanche in Paradiso ha preteso granché.(6)
Immagine di copertina: Lo Partisan, 5 dicembre 1947.
(1 ) Esprit Nomade, 1° maggio 1948. (2) Ibidem. (3) J.-M. Henry, Le ràye di solei, p. 224. (4) U. Pelazza, L’abbé Henry alpinista, in Revue Valdôtaine d’Histoire Naturelle, n. 51, 1997, p. 35. (5) Ibidem, p. 36. (6) Ibidem, p. 37.