Natale e il miracolo delle cortecce
Un tempo, seguendo la tradizione, l’antica chiesa di Cogne si trovava sul pianoro del Crêt, nel vallone dell’Urtier, a 2.014 metri di altitudine.
Giocoforza, gli abitanti della zona si recavano tutti fin lassù per le funzioni religiose.
Una leggenda locale narra, infatti, che gli abitanti dell’Erfollet (villaggio ora scomparso, ma che si incuneava in fondo alla Valnontey) dovevano scarpinare per oltre sei ore per raggiungere il luogo di culto.
Era una fatica enorme, un sacrifizio penoso, lo dicevano tutti. Ma chi avrebbe osato mancare alla Messa della domenica e sopratutto a quella di Mezzanotte, che ricordava la nascita del Figliuoletto Divino? Che importavano il freddo, i disagi, il pericolo immane degli orsi e dei lupi, che infestavano le foreste, il gelo che assiderava le membra se, appena giunti nella chiesetta, si vedevano le braccia misericordiose della croce, spalancate come per ricevere i fedeli e stringerli tutti in un amplesso divino? Se si udiva la parola santa e confortatrice del predicatore e si incontravano, con piacere, visi cari di parenti, di amici e di conoscenti?
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Fu così che, una certa notte della viglilia di Natale di secoli fa, gli abitanti dell’Erfolet - come consuetudine - lasciarono il loro villaggio per raggiungere la chiesetta del Crêt; ma quell’anno molti erano i nuovi nati, fu dunque deciso di lasciare un’anziana e i suoi tre nipotini ad occuparsi delle tante culle dei piccoli del villaggio; pare ben diciotto.
La nonna e i suoi nipoti fecero il possibile per nutrirli, accudirli, coccolarli, rasserenarli..., ma ad un certo punto quei giovanissimi aiutanti, stanchi per il tanto lavoro faticoso, sentirono una gran fame e dissero alla donna che avrebbero tanto desiderato un buon brodo caldo ed una bella fetta di carne saporita...
“Come sarebbe bello! Come sarebbe buono!..
Perchè, nonna, non abbiamo mai, noi, della carne che cuoce sul fuoco e che tutta la casa profuma?”
La nonna non sapeva proprio che fare e, nel guardare l’immagine della Vergine appesa su di una parete, non poté che sperare in un miracolo.
Poi invitò i bimbi a pregare la Madonna e, nel frattempo, andò sicura a prendere nella legnaia alcune grosse cortecce d’abete: grigie e rugose all’esterno, liscie e porporine all’interno.
Le nascose accuratamente nel suo grembiule di ruvida tela casalinga, rientrò nella stalla e, non vista dai bambini, sempre assorti nella preghiera, buttò le cortecce in una grossa pentola in cui bolliva, gorgogliando, dell’acqua.
Le preghiere dei bimbi si conclusero e, quasi contemporaneamente, l’ambiente fu subito invaso da un intenso e gustoso profumo di brodo e di carne. “Miracolo, Miracolo!”, fu gridato da tutti e quattro.
Mangiarono quella carne con tanta contentezza; prima... non era niente altro che ruvida corteccia d’albero.
Anche gli abitanti del villaggio, rientrati all’alba dalla Messa di Natale, poterono cibarsi di quella succulenta prelibatezza.
Increduli, chiesero subito alla vecchietta cosa fosse successo.
La donna rispose sicura: “Bevete e mangiate. È la carne della Provvidenza. Sono questi angioletti, e additava le diciotto culle, che hanno impetrato per noi la grazia presso la Madonna del Cielo! Mangiate e bevete, è la carne del Signore!”
E mangiarono e bevvero benedetti da Dio e ristorati dalla Divina Provvidenza, che premia largamente la fede e la preghiera degli uomini.
(1) Le citazioni in corsivo sono tutte tratte da A. Ronc Desaymonet, In Val di Cogne. Usi e Costumi - Leggende e Superstizioni, (1929), il brano specifico è Il miracolo delle cortecce, pp. 53-58.