Stravaganze americane...
Un elefante sotto l’arco d’Augusto
Esiste una storia poco nota che pone la Valle d’Aosta al centro dell’interesse di un eccentrico statunitense: Richard Halliburton (1900-1939).
Quest’ultimo, un vero e proprio avventuriero - a causa delle sue stravaganti, quanto discutibili, imprese - fece usare alle cronache mondiali fiumi d’inchiostro. Per esempio, egli percorse a nuoto gli 80 km di lunghezza del canale di Panama; era il 1928, pagò 36 centesimi di dollaro di pedaggio e ci mise 26 ore e 34 minuti per completare la sfida. Su di un biplano, invece, volò a testa in giù sul Taj Mahal (India), mentre nel 1932 tentò invano di sorvolare l’Everest (8.848 m).
Nell’estate del 1935 aveva in testa ben altro. Da Parigi fece arrivare in treno una elefantessa fino a Martigny (Svizzera). L’elefante asiatico - un animale molto docile di 12 anni di età, alto due metri e dal peso di 2500 kg - era abituato sia alle variazioni di temperatura, sia alle
tournée
a cui tante volte fu obbligato; secondo le cronache, il suo gioco preferito era infilare la proboscide nelle tasche degli spettatori.
Oltre all’americano, i suoi accompagnatori erano il signor Harel, un parigino che aveva il ruolo di capo
cornac
(dal singalese: custode o conducente di elefanti) e il
chauffeur
Russin.
L’obiettivo di Halliburton era quello di attraversare il valico del Gran San Bernardo assieme a Dolly, questo il nome del pachiderma. L’uomo voleva dimostrare la teoria secondo la quale, nel 218 a. C., Annibale avrebbe utilizzato proprio quel valico per scendere in Italia con il suo esercito e degli elefanti al seguito; un giornale vallesano, a tale proposito, affermava che quando l’americano sarebbe giunto all’Ospizio, i religiosi
ne manqueront pas de lui apprendre, à cette occasion, que l’Annibal de Carthage n’a jamais traversé le Grand St-Bernard.(1)
I fatti. Domenica 21 luglio 1935, alle ore 11.55, la curiosa carovana giunse finalmente al colle presso cui si era assembrata una folla di curiosi; i cani San Bernardo dell’Ospizio, al contrario, non accolsero con favore l’animale, ma non osarono avvicinarsi.
L’animale aveva sofferto la salita verso il colle: era provato e aveva dato ben a vedere tutti i segni della fatica. Agli affanni accusati lungo il tragito, era stato ovviato con una sosta, con dell’acqua e con del cibo.(2)
Il giorno dopo, quando fu intrapresa la discesa lungo il versante valdostano, la carovana rischiò addirittura una tragedia: il mezzo su cui viaggiava la scorta capottò, ma per fortuna non capitò nulla di grave.(3)
Martedì, ad Aosta, prima di ripartire, Halliburton rilasciò una dichiarazione pubblica premettendo di corrispondere con 50 testate giornalistiche americane. La conferenza stampa sembrava foriera di importanti rivelazioni. L’avventuriero, infatti, sembrò quasi sminuire la portata dell’impresa. A suo dire, infatti, lo scopo del viaggio era semplicemente e prima di tutto quello di divertirsi e che l’idea della dimostrazione storica gli era venuta in mente solo in un secondo momento. Comunque sia, si era persuaso che Annibale non fosse affatto passato per il Gran San Bernardo. Disse anche che i religiosi dell’Ospizio gli avevano rivelato che dai tempi di Napoleone non era stata vista lassù una folla così grande di persone; ben 2.000, infatti, furono i presenti.
Ad ogni modo, la carovana partì a mezzogiorno alla volta di Roma dove l’americano avrebbe sollecitato una udienza con Mussolini; successivamente avrebbe riportato a Parigi l’elefante e sarebbe rientrato a New York.
Insomma, lo strano convoglio era pronto per lasciare Aosta e lo fece passando sotto l’arco d’Augusto in mezzo ad un gran numero di curiosi e di fotografi.(4)
Un’impresa un po’ strampalata, quella di Halliburton. La stampa valdostana, infatti, non la accolse con grande interesse. Il giornale svizzero
La Patrie Valaisanne, poi, si chiedeva per quale ragione l’americano avesse organizzato tutto ciò e si rispondeva da solo scrivendo: “Perchè tutto quello che concerne Annibale lo appassiona e perchè vuole ora scrivere un libro sull’Europa.” Poi, in modo ironico, concludeva così:
Souhaitons qu’il ne rencontre pas sur sa route un Scipion l’Africain.(5)
(1) Journal et feuille d’avis du Valais, 16 luglio 1935. (2) Courrier du Valais, 22 luglio 1935. (3) L’Illustration, 3 agosto 1935. (4) Le Mont-Blanc, 26 luglio 1935. (5) Edizione del 24 luglio 1935.