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Valanghe di foreste

Mauro Caniggia Nicolotti • giu 17, 2024
Valanghe di foreste

L’ottobre del 2000 fu funestato da eventi atmosferici disastrosi che, anche in Valle d’Aosta, causarono morte e distruzione.
Tra i vari disastri, vorrei qui ricordarne uno solo, un frammento, togliendolo dalla drammaticità di quei momenti purtroppo indimenticabili.
Tra i danni provocati dalle piogge incessanti di quei giorni, vi fu anche un grande scivolamento di terreno che, partendo dalle alture sopra Lillaz e Champlong (Cogne), scese fino al torrente Urtier, modificando il paesaggio della zona. Questo repentino movimento, poi denominato “frana di Champlong”, fece scivolare a valle, in modo compatto e per circa un centinaio di metri, una vasta porzione di territorio ricoperto da alberi che restarono in piedi presso il luogo in cui si fermarono.

Consultando le cronache dell’epoca, si riscontra almeno un altro evento simile.
Nel 1879, infatti, un giornale valdostano riportava, in un articolo intitolato Fôret en mouvement, che non solo esistevano le valanghe di neve, mais encore celles de forêts. 
Nel giugno di quell’anno, un intero bosco situato a monte del villaggio di Crétaz (Cogne) si staccò e si riversò nel vallone ai piedi dell’abitato. Le piogge e il disgelo delle nevi resero il terreno così intriso d’acqua che il fondo roula avec les arbustes et les plantes dal roccione a cui era ancorato fino a valle.(1)

Nel 2021, per un libro che ho scritto sulle leggende di Cogne, inventai una brevissima storia legata all’incidente nella zona di Lillaz ricordato sopra. La chiamai “Il gigante di Champlong”.(2) La riporto qui per concludere il cerchio, anche se iniziato con tanta tristezza.

“Un tempo, sotto la piana di Champlong, viveva un gigante che dormiva indisturbato da secoli. Un giorno, fu quasi svegliato dalla sensazione di umidità. Infreddolito, nonostante il sonno, cercò un po’ di calore. Decise così di trovare una posizione più confortevole e asciutta, girando la schiena nella direzione opposta”.
Fu così che il bosco-coperta si spostò...

Speriamo che la memoria di tali avvenimenti, al di là delle leggende che ne possono scaturire, ci spinga a rispettare e proteggere l’ambiente che abitiamo, affinché le future generazioni possano godere delle stesse meraviglie e trarre insegnamento dalla nostra storia, che non è solo passato ma una guida per il futuro.




(1) Feuille d’Aoste, 11 giugno 1879. (2) L’ho battezzato anche, e più poeticamente, Gigante Grandval, cioè con il nome con cui parte di quell’area era indicata anticamente; un toponimo, tra l’altro, non unico in quel comune, ma in quella zona, credo, ormai dimenticato. Il libro è intitolato Leggendario di Cogne.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 20 giu, 2024
Dieci soldi, solo dieci soldi Sull’eleganza dell’ abbé Joseph-Marie Henry (1870–1947) si sono raccontati diversi aneddoti. Uno dei più curiosi è certamente quello relativo all’abito talare: la sua tonaca, lisa e logora, era infatti diventata quasi leggendaria. Henry non ci dava molta importanza e scherzandoci sopra sosteneva che una persona elegante rischiava di pagare di più per i servizi. Un giorno, infatti, mentre scendeva dalla diligenza a Châtillon con l’ abbé Gontier, vestito in maniera elegante, il vetturino gli disse: Kiel ca l’è guida mac des solds, cinque franchi per il signore ; cioè "Lei che è la guida solo dieci soldi, cinque franchi per il signore". (1) Numerose volte Henry abbandonava l’abito talare e vestiva panni civili, più comodi, soprattutto quando faceva escursioni in montagna o in occasioni particolari. Nel 1896, per esempio, scrisse all’amico Correvon, botanico ginevrino, che in compagnia del canonico Pierre Chanoux, avevano in mente, déguisés en laïques , di andare a visitare il Jardin alpin d’acclimatation che lo studioso svizzero aveva allestito in occasione dell’Esposizione Nazionale Svizzera di Ginevra. (2) Foto di copertina: Ollomont: Joseph-Marie Henry ai piedi della Punta Cornet (2.388 metri); Foto AMCN. (1) U. Pelazza, L’abbé Henry alpinista , in Revue Valdôtaine d’Histoire Naturelle , n. 51, 1997, p. 36. (2) Archivio Mauro Caniggia Nicolotti (AMCN), Vol. F, doc. 16.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 12 giu, 2024
Un cognein misterioso Nel 1894, i giornali di tutto il mondo diffusero la notizia del decesso di un uomo che aveva raggiunto l’invidiabile età di 126 anni, posizionandosi tra gli individui più longevi al mondo. Quest’uomo, un ex ufficiale dell’esercito francese al servizio di Napoleone, risiedeva in Russia, nella città portuale di Satov, lungo il fiume Volga, e rispondeva al nome di Jean-Baptiste-Nicolas Savin. Un giornale valdostano rese noto l’evento, dichiarando fin dal titolo dell’articolo: Un centenaire valdôtain en Russie . (1) Nel medesimo pezzo, si affermava che alcune informazioni facevano supporre che i genitori di Nicolas Savin fossero originari di Cogne e avessero lasciato la Valle d’Aosta per trasferirsi a Parigi nel 1760. Comunque sia, secondo le fonti dell’epoca, l’uomo era nato a Parigi il 17 aprile 1768, durante il regno di Luigi XV, sotto il quale aveva servito suo padre Alexandre. La sua storia, quasi un racconto legato al Romanticismo, lo vedeva tra i protagonisti delle varie campagne napoleoniche, spedizioni e assedi in varie parti d’Europa, in Russia e in Egitto. Decorato anche con la Legion d’onore, ferito e prigioniero dei cosacchi, era considerato un eroe. L’ex-tenente scelse poi nel 1812 di stabilirsi in Russia, dove era stato detenuto, si sposò ed ebbe figli, insegnò francese, e nel 1887 lo zar Alessandro III gli donò 1.000 rubli. (2) Negli anni Ottanta la stampa russa e francese fecero da cassa di risonanza alle sue avventure, e Savin ottenne una certa notorietà. Inchieste e indagini successive, che continuarono fino ai nostri giorni, chiarirono alcuni aspetti della vita di Nicolas Savin, come la data di nascita. Pare non fosse nato nel 1768, bensì nel 1792, dunque morì a 103 anni, comunque sia una veneranda età. Non fu facile risalire ad una corretta definizione della vita di Savin, anche perché molti suoi documenti personali andarono bruciati in un incendio. Non tutto quanto aveva raccontato, purtroppo, sembrava corretto poiché le contraddizioni e le imprecisioni frutto del racconto popolare non corrispondevano ai documenti ufficiali. Ad esempio, tra i soldati della fanteria francese in Russia risultò un uomo di nome Pierre-Félix (figlio di Pierre-Félix) Savin nato il 13 luglio 1792 a Rouen, (3) ma non Nicolas. La totale differenza del nome fu spiegata di recente dal fatto che comunque sia, in famiglia altri parenti risultavano portare i nomi di Nicolas e di Jean-Baptiste, poi utilizzati in Russia da Savin. Che risultava così essere uno dei tanti giovani volontari della Grande Armée , poi sottufficiale, in cerca di gloria e, successivamente, di notorietà. (4) In tutto questo, persiste ancora un interrogativo sollevato in Valle d’Aosta: l’uomo era originario di Cogne? In realtà, anche qui i dati non concordano. Un certo Ambroise Savin, nato nel 1787, di cui non conosciamo l’anno della scomparsa, è segnalato come Soldat de Napoléon 1er, point revenu (“non tornato”). (5) Niente altro... Al di là di ogni altra considerazione, si tenga conto che Savin non è un cognome sconosciuto né in Francia, né in Russia. Senza addentrarmi in giudizi che potrebbero risultare fuorvianti, mi limito a sottolineare con discrezione questo fatto. Immagine di copertina: Fonte: By various - Scan from the original work, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=12641240 (1) Le Mont-Blanc , 14 giugno 1895. (2) L’Indépendant: organe républicain du Cambrésis , 15 dicembre 1894. (3) https://www.napoleon-series.org/research/biographies/France/Enlisted/c_Savin.html (4) Ibidem . (5) A. Burland, Familles de la Communauté de Cogne , Bibliothèque Communale de Cogne, n. 30, La Famille Savin , p. 58.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 11 giu, 2024
L’autonomia valdostana (*26 febbraio 1948 †9 giugno 2024)? Conscio che alle elezioni europee esista un voto più “libero” rispetto a quelle locali, dove concorrono fattori più legati al campanilismo e che non si mischiano raffronti tra elezioni di diverso genere, vorrei fare qualche riflessione. Innanzitutto, quello che emerge in Valle d’Aosta dal voto europeo è la mancanza di un voto localista, o autonomista, se si preferisce. Questo non significa che i rappresentanti di queste formazioni siano stati sconfitti, ma piuttosto che la maggior parte delle formazioni non si è candidata né ha sostenuto rappresentanti di quell’area. È evidente che i risultati delle elezioni europee non si riprodurranno nelle prossime elezioni comunali e regionali, poiché molti elementi cambieranno lo scenario di quelle competizioni. I tanti voti, ora “liberi”, per esempio, rientreranno per la maggior parte nei partiti locali di riferimento; tuttavia, è chiaro che nuovi disegni si stanno delineando all’orizzonte e non tutto cambierà radicalmente o tornerà assolutamente come un tempo. Da anni continuo a sostenere che, più che un solo partito autonomista dove tutto converge, sarebbe stato meglio permettere la creazione di un arco costituzionale valdostano diversificato, dove i valori dell’autonomia fossero diffusi come patrimonio comune, pur declinabili secondo le sfumature imposte dalle differenze politiche. A titolo di esempio, nelle regionali del 2013, dunque non un secolo fa, le varie formazioni autonomiste, nei loro diversi colori (Fédération Autonomiste, Stella Alpina, Union Valdôtaine, Union Valdôtaine Progressiste e ALPE), rappresentavano il 79,52% dell’elettorato, mentre i partiti nazionali raccoglievano il restante 20,47%. Questo patrimonio, come detto, non andrà certo dissipato con le prossime competizioni come si potrebbe temere. Mi chiedo, però, se la costruzione di un sistema rappresentativo maggiormente di stampo locale non sarebbe preferibile; anche, e non solo, per avere dal 2029 un rappresentante in Europa. È ovvio che non basta dirlo, ma la mancanza di una condivisione e diffusione del particolarismo valdostano potrebbe presto portarci a una “nazionalizzazione” del voto... e non solo a quello europeo. E non solo per quanto riguarda le elezioni... Ci pensi chi crede che la formazione di una sorta di fortino autonomista sia l’unica soluzione a tutto.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 10 giu, 2024
“Quasi tutti falsari i valdostani!” Un giornale vallesano del 1880, (1) spazientito dai comportamenti di alcuni valdostani, usò uno stereotipo per etichettare i suoi vicini. Raccontando un fatto di cronaca, il periodico svizzero premetteva infatti che la “contraffazione è un’attività radicata in una parte degli abitanti della Valle d’Aosta”. (2) Forse si esprimeva così perché da pochi mesi era morto il famoso contrabbandiere e falsario Samuel Farinet (1845-1880), valdostano di origine, ma operante prevalentemente in Vallese, dove aveva dato filo da torcere alla polizia locale. Una sorta di Robin Hood, come lo aveva definito qualcuno. Ma no, non era solo per quello. Pochi mesi dopo la scomparsa di Farinet, il 1° luglio 1880, tre valdostani si erano presentati alla litografia Erné di Sion, chiedendo la stampa di mille banconote italiane false da 5 lire e altre mille da 10 lire. Il litografo cercò di spiegare loro quanto fosse illegale la loro richiesta. (3) Parole sprecate. I tre risposero a tutte le obiezioni dicendo che erano poveri e desideravano quel denaro. Il signor Erné, un uomo onesto che non poteva certo aderire a quella assurda richiesta, chiese loro di tornare il giorno seguente. Solamente due tornarono. Un gendarme in borghese sorvegliava l’atelier, con altri nascosti dietro la porta... L’arresto fu effettuato in un batter d’occhio. Non era la prima volta che accadeva un fatto simile in quella tipografia. Philippe Erné (1835-1875), capostipite dell’impresa (4) trasferitosi dall’Argovia nella capitale del Vallese, aveva sventato un tentativo simile nel maggio del 1871. Due valdostani si erano presentati verso le 23 per farsi stampare false banconote, ma trovarono veri poliziotti che li arrestarono. Il giornale di allora sosteneva che non fosse nemmeno quella la première fois . (5) Due anni prima, infatti, il signor Philippe aveva ricevuto tramite l’ambasciatore italiano Luigi Amedeo Melegari (1805-1881) la somma di 300 franchi concessagli dal governo italiano “per aver denunciato alla polizia due italiani che gli avevano proposto di stampare delle false banconote italiane”. (6) Saranno mica stati valdostani pure quelli? (1) Le national suisse , 8 luglio 1880. (2) La fausse monnaie est dans le sang d’une partie des habitants de la vallée d’Aoste . (3) Le lithographe leur représenta tout ce que leur projet avait de criminel . (4) Diventata Imprimerie Gessler , la stamperia è ancora oggi in piena attività. (5) Le chroniqueur , 1° aprile 1871. (4) Journal et feuille d’avis du Valais , 20 dicembre 1962.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 06 giu, 2024
Carducci, “sindaco” di Courmayeur Un curioso aneddoto ci riporta al 1887, ai tempi in cui la famiglia reale d’Italia visitava Courmayeur. (1) Nella Valle d’Aosta francofona, le autorità locali avevano sempre accolto la famiglia reale con discorsi ufficiali in questa lingua. Ma quell’anno, il celebre poeta Giosuè Carducci era a Courmayeur e insinua au syndic di pronunciare il discorso nella lingua di Dante. Questo, disse, avrebbe reso il saluto più gradito alla regina Margherita e a suo figlio, il futuro re d’Italia. “Posso tentare,” rispose il sindaco, visibilmente preoccupato. “Ma come posso scrivere un discorso in una lingua qui m’est si peu familière ?” “Non preoccupatevi!” replicò Carducci con un sorriso. “E se mi promettete di essere discreto...” “Come? Proprio voi, noto per le vostre opinioni radicali, scrivereste un complimento per la regina?” “Perché no? Non dovrà sembrare che io c’entri. Inoltre, non sarebbe la prima volta che esprimo pubblicamente la mia ammirazione per la graziosa regina d’Italia, cosa che ha fatto arrabbiare alcuni dei miei amici politici, inutilmente intransigenti! Ma torniamo al discorso; accettate la mia collaborazione?” “Con grande piacere. Un onore per me, modesto sindaco di Courmayeur, pronunciare un discorso composto dal più illustre poeta vivente d’Italia!” E così fu. Il sindaco - che si chiamava Savoie, proprio come il re - tornò a casa esultante, immaginando il successo del suo prossimo discorso. Il fiero poeta Giosuè Carducci scrisse allora un breve discorso qui est bien une des plus jolies choses sorties de sa plume . Quando arrivò il momento, il discorso ebbe un tale successo che nessuno volle attribuirne la paternità al sindaco. Ascoltandolo, la regina Margherita - che sapeva della presenza di Carducci a Courmayeur grazie ai giornali - capì subito chi era il vero autore delle parole pronunciate dal sindaco. Terminata la cerimonia ufficiale, Sua Maestà fece chiamare Carducci per congratularsi del discorso... del signor Savoie, dicendogli anche che aveva letto con vivo interesse il suo ultimo volume di versi: “Rime Nuove”. Il sindaco di Courmayeur, naturalmente, non ne fu affatto contento. La critica pubblica in Valle d’Aosta fu aspra per l’uso dell’italiano in quel discorso. Carducci, che già diverse volte aveva dimostrato di non apprezzare la francofonia locale, suscitò polemiche. Per quanto avesse avuto modo di elogiare “questi popoli alpini”, un giornale affermava che probabilmente non condivideva nemmeno una centesima parte della loro cultura. (2) (1) Ripreso da diversi giornali italiani, il racconto fu riproposto dalla La tribune de Genève , 26 agosto 1887. (2) Feuille d’Aoste , 24 agosto 1887.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 03 giu, 2024
Valsavarenche e il mulo nero del principe Nell’estate del 1911, Guglielmo di Germania e Prussia (1882-1951), principe ereditario dell’Impero tedesco e di Prussia, (1) fu ospite del Re d’Italia a Valsavarenche. Vittorio Emanuele III di Savoia aveva organizzato in onore dell’illustre ospite una battuta di caccia. Per l’occasione, oltre ai battitori e ai guardacaccia, furono anche arruolati tutti i migliori muli della zona, tra cui un bell’esemplare nero, giovane e agile appartenente al signor Pierre Blanc, un settantanovenne che trascorreva l’estate in una baita sopra Valsavarenche. Il Kronprinz ammirò fin da subito quell’esemplare, dal pelo setoso, dagli occhi vivaci, per il quale éprouva comme un sentiment d’affection . L’ammirazione si trasformò in desiderio quando, al ritorno da una battuta di caccia, decise di portarlo con sé in Germania. Il principe si rivolse al mulattiere Pierre e lui dit à brûle-pourpoint (2) che voleva acquistare il mulo. Il vecchio Pierre, che non poteva credere a quella proposta, le regardait ahuri (3) e chiese una cifra importante, 1.000 lire, forse sperando di indurre il principe a rinunciare all’acquisto. Ma quest’ultimo non si scompose minimamente e gli rispose Soit , (4) e dispose di pagare immediatamente l’uomo. Così il bel mulo lasciò Valsavarenche il giorno successivo per raggiungere le eleganti scuderie reali tedesche. Prima della partenza, il vecchio Blanc, con gli occhi colmi di lacrime, lo baciò e lo lasciò andare via. (5) Chissà come continuò la vita del mulo nero di Valsavarenche. Sarà stato trattato anche lui come un principe? Una piccola storia, quasi da leggenda. Nell'immagine di copertina: Il principe tedesco a Valsavarenche, 1911. (1) In seguito alla sconfitta della Germania nella Prima Guerra Mondiale, all’abdicazione dell’Imperatore Guglielmo II e alla trasformazione del paese in una repubblica, Guglielmo non salì mai al trono. Invece, prese il comando della casa di Hohenzollern al momento della morte del padre nel 1941. (2) All’improvviso. (3) Lo guardò stupito. (4) Così sia. (5) Le Duché d’Aoste , 16 agosto 1911: Le Mont Blanc , 25 agosto 1911.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 30 mag, 2024
L' abbé Henry e le api Una delle tante passioni dell' abbé Joseph-Marie Henry (1870-1947) erano le api, che allevava a Valpelline, dove fu parroco dal 1901 al 1941. In una lettera datata 5 maggio 1914, scriveva: Je continue à m’occuper des abeilles . “Questo mi dà una piccola rendita di circa 200 franchi all’anno. In estate, tutti i giorni che posso, vado in montagna; niente è più bello di questa lotta continua con la natura e le opere del Creatore”. (1) Gli amici e i suoi corrispondenti conoscevano questa sua passione e si premuravano ogni tanto di chiedergli come andavano le cose. All’amico Henry Correvon, il 1° giugno 1921, scriveva: Mes abeilles vont bien . “Ora ho cambiato sistema. Ho “Dadant Blatt”. Tutto il progresso in fatto di api e apicoltura che abbiamo in Valle d’Aosta ci viene dalla Svizzera attraverso il Gran San Bernardo, che è il nostro fornitore e la nostra guida”. (2) Il sistema "Dadant-Blatt" di cui accenna il reverendo è un tipo di arnia molto utilizzato in Europa, ideato per facilitare la gestione delle api e la raccolta del miele. È composto da una cassa principale con telai mobili, che permettono di ispezionare facilmente le colonie senza disturbare troppo le api. Questo sistema offre ampio spazio per lo sviluppo delle colonie e per la produzione di miele ed è ideale sia per apicoltori principianti, sia per esperti. Il 27 novembre 1947, l’abbé Henry fu trovato senza vita fuori dalla sua canonica. Era in terra ai piedi dei suoi amati alveari. (3) (1) Ça me donne une petite rente de 200 francs environ par an. En été tous les jours que je puis je file en montagne; rien de plus beau que ce combat continuel avec la nature et les oeuvres du Créateur. Archivio Mauro Caniggia Nicolotti (AMCN), Vol. F, doc. 41. (2) J’ai maintenant changé système. J’ai Dadant Blatt. Tout le progrès en fait d’abeilles et d’apiculture que nous avons en Val d’Aoste nous vient de la Suisse par le Grand Saint Bernard qu’est notre fournisseur et notre indicateur . AMCN, Vol. F, doc. 42. (3) L’Union Valdôtaine , 30 novembre 1947.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 27 mag, 2024
“Che strano Re che siete!" Era il 1° agosto 1861, mentre l' abbé Amé Gorret (1836-1907) saliva a Champorcher, dove era stato nominato parroco, lungo la strada incontrò una comitiva che veniva accolta con grande reverenza dagli abitanti del luogo. Non conoscendo nessuno, il reverendo proseguì per la sua strada ignorando tutti. Ma dal gruppo si distaccò una voce: Bonjour, monsieur l’abbé . Un uomo si tolse il cappello in segno di saluto. Gorret rispose appena, senza fare molto caso. Era nientemeno che Vittorio Emanuele II di Savoia. L’anno successivo, sempre a Champorcher, il monarca incontrò di nuovo il parroco e gli tendeva la mano, chiedendogli se questa volta fosse di buon umore. Gorret, imperturbabile, gli rispose che questa volta era diverso perché sapeva perfettamente chi fosse... Tra i due si sviluppò una forma di familiarità che li portò a frequentarsi. (1) Un giorno Gorret disse a Sua Maestà: Quel drôle de Roi vous êtes (“Che strano Re che siete”) e Vittorio Emanuele II rispose: Drôle oui, mais fort (“Strano sì, ma forte”). (2) Storie di un tempo... Immagine di copertina: Il re cacciatore, giardini Lussu, Aosta. (1) L. Vaccari, L’abate Amato Gorret , in Bollettino del Club Alpino Italiano , Vol. XXXIX, n. 72, 1908, p. 6. (2) L. Vaccari, L’abate Amato Gorret , in Bollettino del Club Alpino Italiano , Vol. XXXIX, n. 72, 1908, p. 4.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 23 mag, 2024
Il treno rovesciato e la coraggiosa cantoniera L’estate del 1906 è rimasta nella memoria come un lungo periodo di caldo secco e sereno, nonostante sia stata interrotta da diversi temporali che hanno colpito l’Italia con grande violenza. Uno di questi eventi si verificò in Valle d’Aosta il 23 luglio di quell’anno. Quel nubifragio non risparmiò nemmeno la linea ferroviaria Torino-Aosta, tratto che in molti punti fu seriamente danneggiato, soprattutto a causa della caduta di pietre e di fango provocati dalle intense precipitazioni. I binari furono dunque ricoperti dai detriti e alcuni tratti della linea ferrata sprofondarono letteralmente nel terreno. Una coraggiosa cantoniera, sapendo che stava per giungere il treno da Aosta a Torino, corse verso lo stesso, con l’acqua sino alla cintola, per segnalare l’impedimento, ma non fu avvertita. Poiché il suo avvertimento non fu notato, il treno - che era partito da Aosta alle 18.55 - entrò in collisione con una frana che si era verificata nel tratto posto tra le stazioni di Quart-Villefranche e di Saint-Marcel. La prima vettura rimase intrappolata nella massa detritica e di fango precipitata dalle alture, e la seconda, urtandola, la ribaltò. Un macchinista perse la vita (1) e alcuni passeggeri rimasero feriti. (2) Grazie alle grida di alcune persone accorse a La Plantaz (Nus), non solo si evitò un incidente simile al treno merci che doveva arrivare in città alle 20, ma si riuscì anche a prevenire un ulteriore scontro con il primo incidente. Il macchinista, avvertito dalle urla, frenò tempestivamente facendo arretrare e fermando il convoglio. La prontezza di queste persone, nonostante le loro case fossero invase dal fango, sostituì l’allerta che avrebbe dovuto giungere tramite il telegrafo, il quale era stato reso inutilizzabile dagli effetti del maltempo. Uno dei giornali che si era occupato della vicenda, concluse con un dettaglio triste: on nous assure que le mécanicien mort devait partir pour conduire le train direct, mais qu’il préféra guider l’omnibus qui fut l’objet de l’accident, pour jouir de la fraîcheur de la soirée. Celui qui l’a remplacé peut se vanter de l’avoir échappée belle . (3) Immagine di copertina: Il disastro ferroviario in Val d’Aosta (foto T. Villa), La Domenica del Corriere , 5 agosto 1906. (1) (...) le machiniste et un autre employé ont été jetés à terre et massacrés. Immédiatement transportés à l’hôpital, l’infortuné machiniste n’a pas tardé a expirer et son compagnon y est en danger de mort . (2) La Domenica del Corriere , 5 agosto 1906. (3) Le Duché d’Aoste , 25 luglio 1906.
Autore: Mauro Caniggia Nicolotti 20 mag, 2024
Sporcatori di vette L’Ottocento stava per concludersi negli ultimi giorni della sua esistenza. Un insegnante del Collège di Aosta, al ritorno in città da un’escursione estiva alla Becca di Nona (3.142 m), raccontò di aver provato un sentiment de dégoût et d’indignation dopo essersi trovato di fronte a uno scenario indecente. Cos’era successo? Alcuni ragazzi - quelques élèves qui ont fréquenté nos cours , affermava il giornale - si erano trasformati in vandali rovesciando tutti i barattoli di vernice che la guida Grégoire Comé aveva portato in vetta per procedere a dei lavori di restauro sulla statua della Vergine collocata lassù nel 1892. Inoltre, “non contenti dei loro atti vandalici, hanno anche sporcato la statua con delle scritte fatte a carbone. Questi studenti hanno dato una triste impressione della loro educazione”. (1) Una settimana dopo, lo stesso giornale fu costretto a pubblicare alcune precisazioni sulla vicenda, poiché nel frattempo uno studente aveva protestato. Il giovane aveva firmato e inviato alla redazione del periodico una lettera affermando que ni lui, ni ses amis ne sont les auteurs de l’acte de vandale du Pic de None . “Questa protesta”, replicò il foglio, “ci ha sorpreso abbastanza, poiché non abbiamo accusato nessuno in particolare e non abbiamo pubblicato alcun nome”... (2) Come dice l’antico adagio: “gallina che canta ha fatto l’uovo”, ossia chi parla per primo di una cosa, ne è probabilmente l’autore. (1) Le Mont-Blanc , 21 luglio 1899. (2) Le Mont-Blanc , 28 luglio 1899.
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