Che fine ha fatto la Valle d'Aosta?
In questa campagna elettorale, come candidati, siamo tutti impegnati a proporre agli elettori tante soluzioni per tentare di risolvere i mille problemi che attanagliano la nostra terra. Una "missione" giusta e doverosa, malgrado una società sempre più delusa dai politici; categoria che in questi anni effettivamente non ha sempre brillato e in parte ha creato gli stessi problemi che adesso vorrebbe risolvere... Un vero corto circuito.
Tolto ciò, un enigma però mi tormenta da tempo: che fine ha fatto la protagonista dei progetti politici e delle speranze di oggi e di domani, ossia la Valle d’Aosta?
In questi ultimi decenni, infatti, questa regione è stata talmente bistrattata da essere quasi ridotta ad un concetto astratto. Effettivamente, anche se tutti ne parlano e sanno dove si trova geograficamente, forse non hanno ben chiaro cosa sia in realtà la Valle d’Aosta. La mia non vuole essere una provocazione o una sorta di domanda retorica, poiché a volte sembra che quando si parla di Valle lo si fa alla stessa maniera di quando si affrontano temi quali la pace, il benessere; vale a dire di quando si affrontano argomenti condivisi da tutti, ma piuttosto vaghi, impalpabili.
Nei fatti, a mio avviso, la Valle d'Aosta sembra essere scomparsa dalla scena
in cui si giocano i principali temi politici, sociali, economici e culturali, sia a livello italiano, sia europeo. Un lento declino corrispondente all'assopimento del senso di comunità dei valdostani (intesi come abitatori di queste montagne).
Ma a quando possiamo far risalire questo effetto? Molto accadde nel dopoguerra, a seguito della neo regione autonoma, quando non si è saputo stimolare un comune senso di appartenenza
tra tutti gli abitanti: tra quelli, cioè, in Valle da molto o da sempre e i nuovi residenti, in qualche modo figli di quegli anni duri, difficili e soprattutto di guerre. Non intendo attribuire maggiori responsabilità a una parte piuttosto che un'altra, perché di solito in queste situazioni le "colpe" - se così possiamo chiamarle - andrebbero equamente divise. Il fatto è che, comunque, da allora sembra che si sia tracciato un invisibile ma netto confine di divisione, un discrimine, che non è mai stato cancellato del tutto.
Siccome la scena politica è figlia della società che rappresenta, anche nel mondo politico tale suddivisione sembra essere sempre stata presente. Tracciando nei decenni una ideale divisione tra i partiti definiti “autonomisti” e quelli che, al contrario - essendo magari appendice di quelli nazionali - non avrebbero il diritto di esserlo.
Riproponendosi, poi, sul chi è più “valdostano” e/o più “autonomista” - dunque su chi possa vantare fantomatici “pedigree” - si è arrivati al paradosso di confondere l’identità valdostana con lo strumento dell’autonomia
sancita dallo Statuto Speciale del 1948. Un regime amministrativo che però è un mezzo, uno strumento di esercizio del potere; non certamente un traguardo fine a se stesso, qualora non lo si sappia poi gestire e riempire di contenuti.
Arrivando, così, al paradosso odierno in cui sembra che autodefinendosi “autonomista” e contestualmente “difensore dell’autonomia”, si crede magari di aver risolto tutto per la Valle e per il suo particolarismo.
Come se si reputasse sufficiente piantare la bandiera dell'autonomismo per pensare di essere già oltre metà dell'opera, indipendentemente da azioni di gestione del potere che sono lontane anni luce dall'esercizio concreto di quell'autonomia stabilita da una legge costituzionale. Come se la targa di "autonomista" concedesse delle immunità, a prescindere dall'azione concreta e di un reale agire per il bene della Valle d'Aosta. Per la salvaguardia dell'identità della Valle d'Aosta.
Questo modo di interpretare la realtà valdostana ha spostato tante lotte politiche e culturali a combattere su quegli strani (e inesistenti) confini di cui appena detto, sguarnendo la sfida che invece andava non fronteggiata come una sorta di guerra civile, ma affrontata insieme tra fratelli, su altri campi: quelli della costruzione di una comunità salda che nelle sue tante differenze e nel rispetto di tutte le sue sfumature potesse riconoscersi in un sentire comunitario antico, ma ancora valido e da attualizzare, condiviso, in evoluzione e mai chiuso verso gli altri o verso l’esterno.
Solo una reale consapevolezza di sapere chi siamo stati e chi potremmo essere, infatti, ci permetterebbe di affrontare con determinazione un percorso verso il futuro.
Un domani da scegliere tutti insieme e orientato verso il benessere collettivo e senza perdere, dunque, l’animo particolare espresso nei secoli della Valle d’Aosta. Un sentimento che nulla ha a che vedere con la politica o con fattori etnici, ma che semplicemente è il respiro di una terra
che deve continuare ad esprimersi e ad avvolgere i suoi abitanti.
E in un domani del genere e da progettare, nulla vieta di ipotizzare anche una prospettiva diversa rispetto all’attuale autonomia, qualcosa che guardi oltre a ciò a cui siamo abituati. Il pensiero ad un prossimo futuro a me va ad una Valle d’Aosta-Stato
che, assieme a realtà ad essa vicine geograficamente (ma anche simili per territorio, cultura, clima, ecc.), possa far parte a sua volta di una nuova confederazione (tipo quella Elvetica) all’interno di una altrettanto nuova Europa dei Territori e delle Comunità
e non più degli Stati nazionali attuali di stampo ottocentesco. E non si tratta di campanilismo o di divisione, ma semplicemente di voler aggregare una volta per tutte le terre che hanno caratteristiche simili; affinché insieme, facendo forza con altre realtà continentali, possano formare una catena di forza solidale contro le sfide che attendono il continente e il pianeta.
Questa prospettiva indipendentista e contestualmente federalista, ovviamente, prevederebbe un processo lungo e complesso (visto l’attuale contesto socio-economico e politico europeo e mondiale) ed al momento è indubbiamente solo un’idea che, prima di tutto, va progettata e poi portata all’esame di tutti gli organismi consultivi locali, cittadini prima di tutto.
Ma a mio avviso l'idea di una Valle d'Aosta sganciata dal contesto attuale italiano va sdoganata, sviscerata, progettata e discussa. Perché nulla è immutabile e la storia degli ultimi secoli è un esempio lampante in tal senso.
Come faccio da anni in ambito culturale, ho intenzione di portare avanti questa tesi anche in politica; indubbiamente accanto e parallela alle problematiche concrete - più urgenti e sentite, ovvio - che oggi devono essere messe in campo per essere risolte nell’immediato.