Una nuova autonomia per la Valle d’Aosta
Ogni volta che si avvicina una data commemorativa, mi trovo immerso in un vortice di domande. Dettagli, retroscena, risvolti successivi e conseguenze a lungo termine si accumulano nei miei pensieri.
Questa volta, quindi, più che concentrarmi sulle curiosità storiche, vorrei riflettere sugli scenari futuri che ancora oggi potrebbero derivare dall’applicazione di un progetto che ci arriva dal passato.
Mi riferisco alla Dichiarazione di Chivasso, siglata il 19 dicembre 1943, 80 anni fa.(1)
Da tradizione, quando arriva la data fatidica, è comune ricordare l’evento con molte parole attraverso discorsi ufficiali e analisi, conferenze, ecc. Tutto questo è giusto e doveroso, naturalmente, ma credo che in questo caso specifico sarebbe opportuno far respirare quelle pagine, trasformandole da un capitolo storico da aprire ogni anno per un solo giorno, in un programma vivo, attuale e futuro.
Se parte dei punti indicati nella Carta del 1943 in Valle d’Aosta sono già recepiti - come il diritto di usare la lingua locale, là dove esiste, accanto a quella italiana in tutti gli atti pubblici e nella stampa locale. Diritto all’insegnamento della lingua locale nelle scuole di ogni ordine e grado con le necessarie garanzie ai concorsi perché gli insegnanti risultino idonei a tale insegnamento - altri sarebbero da far germogliare. Si tratta di quei contenuti di grande visione moderna esplicitati in quella Dichiarazione.
Ad esempio, il documento sottolinea che per facilitare lo sviluppo dell’economia montana e conseguentemente combattere lo spopolamento delle Vallate Alpine, sono necessari: un comprensivo sistema di tassazione delle industrie che si trovano nei cantoni alpini (idroelettriche, minerarie, turistiche e di trasformazione ecc.), in modo che una parte dei loro utili torni alle Vallate Alpine e ciò indipendentemente dal fatto che queste industrie siano o meno collettivizzate. Un sistema di equa riduzione dei tributi variabile da zona a zona a seconda della ricchezza del terreno e della prevalenza di agricoltura, foresta o pastorizia.
Questi sono elementi che richiamano senza dubbio la concettualizzazione di Zona Franca, anch’essa prevista dall’articolo 14 dello Statuto Speciale della Regione Autonoma della Valle d’Aosta (1948), norma da concordare con lo Stato e mai applicata; e oggi difficilmente attuabile con i criteri di 80 anni fa, ossia considerando Il territorio valdostano al di fuori della linea doganale.
Attualmente, però,(2)
esistono altre tipologie di Zona Franca che potrebbero essere adottate come strumento per lo sviluppo del territorio valdostano. Sono quelle quelle in favore dell’impresa, o a sostegno delle zone disagiate o di montagna, per esempio.
In Valle d’Aosta, la possibilità di ridisegnare il suo territorio in base alle diverse esigenze delle sue comunità, potrebbe diventare indispensabile per il presente e il futuro prossimo economico. Una scelta che potrebbe contrastare lo spopolamento dei territori di montagna, rivitalizzandoli e potenziandone i servizi, con probabile sviluppo turistico e/o commerciale.
Un progetto attento che dovrebbe essere applicato con metodo chirurgico, ossia che analizzi vallata per vallata, comune per comune, per comprendere e cogliere le molteplici differenze e per delineare scelte pertinenti per ciascuna comunità.
Queste decisioni potrebbero, inoltre, essere la sintonia di una nuova ricostruzione del sistema amministrativo valdostano. Poiché non si tratterebbe solo di dare impulso alle varie differenze territoriali, bensì di rivedere un nuovo mosaico amministrativo incentrato su accorpamenti dei comuni che non abbia solo in progetto di portare al risparmio della spesa pubblica. Fatto lecito e giusto, ma che non può essere solo un fatto di mera razionalizzazione dei costi.
Se il mio pensiero si orienta verso il mantenimento di tutti i 74 comuni, contestualmente questi andrebbero inseriti, per esempio e norme permettendo, in Cantoni,(3)
o Comunità o altro nome (comunque sia, in unità intermedie tra il comune e la Regione). Ciascuno con un centro capoluogo da cui opererebbe, con ampi poteri(4)
(dunque sostanzialmente diverse dalle Unité),(5)
il Consiglio Cantonale, di Comunità (o altro nome); con la previsione del mantenimento dei Consigli Comunali, seppur con un numero ridotto di rappresentanti, le cui funzioni sarebbero non retribuite e di carattere consultivo.
Questo approccio mirerebbe a preservare lo spirito dell’esistenza delle comunità storiche, dunque l’aggregazione e la rappresentanza dei villaggi, contribuendo così e contemporaneamente al buon funzionamento dei Cantoni o della Comunità (o altro nome), collettori di ogni aggregazione.
Questa strutturazione potrebbe richiamare, in parte, il modello svizzero o delle Comunità di valle(6)
adottato in Trentino. Dunque, amministrazioni aggregate in un nuovo modello comunitario e soprattutto funzionale, in grado di sviluppare i territori in un contesto sociale, culturale e economico che non è più quello del passato o successivo al boom economico del dopoguerra e dotate di norme di zona franca a seconda delle loro particolarità e differenze.(7)
Questo potrebbe rappresentare un modo tangibile per concretizzare le aspirazioni della Dichiarazione di Chivasso del 1943 e dello Statuto Speciale valdostano del 1948, al di fuori delle solite, a volte stanche, ma comunque necessarie e fondamentali, celebrazioni d’anniversario.
Inoltre, potrebbe dar vita a una nuova prospettiva amministrativa per la Valle d’Aosta, finora rimasta sostanzialmente invariata nei secoli, ma ora in cerca di un nuovo assetto e orientamento per il futuro.
(1) https://it.wikipedia.org/wiki/Dichiarazione_di_Chivasso
(2) ... e come prospettato recentemente dalla proposta di legge presentata da Rassemblement Valdôtain. (3) Un sistema di suddivisione amministrativa che si ispira in qualche modo a quello svizzero. (4) Esempi: assistenza scolastica ed edilizia scolastica relativa alle strutture per il primo ciclo di
istruzione; assistenza servizi socio-assistenziali, edilizia abitativa pubblica e sovvenzionata, urbanistica, infrastrutture, servizi pubblici d’interesse locale, servizi di acquedotto, fognatura e depurazione; rifiuti, ecc... (5) Forma associativa tra comuni che si occupa prevalentemente di Sportello unico delle attività produttive (SUEL); servizi alla persona (microcomunità, SAD, asilo nido, soggiorni di vacanza ...); servizi connessi al ciclo dell’acqua e dei rifiuti; servizio di accertamento e di riscossione volontaria delle entrate tributarie; dal sito: https://www.celva.it/it/cpel-unites-des-communes-valdotaines/
(6) Enti istituzionali intermedi tra comuni e provincia. (7) Indubbiamente si tratta solo di una proposta da approfondire in tutti i suoi aspetti...